La morte degli embrioni, che avrebbero dovuto essere impiantati ma erano andati perduti a causa di un black out, lede il diritto al concepimento. Il Tribunale di Milano ha condannato l’Azienda ospedaliera Fatebenefratelli del capoluogo lombardo a risarcire una coppia. La morte che sarebbe stata causata, stando al ricorso dei mancati genitori che stavano seguendo un percorso di fecondazione assistita, da un corto circuito della corrente elettrica negli incubatori nel Centro sterilità del presidio ospedaliero ‘Macedonio Melloni’. L’ospedale dovrà versare circa 65mila euro.

La sentenza è stata emessa dal giudice della quinta sezione civile, Gabriella Migliaccio e nei prossimi giorni saranno depositate le motivazioni. La coppia (lei 37 anni, lui 50 anni) – come indicato nell’atto di citazione della causa intentata agli inizi del 2008 – stava seguendo il percorso di fecondazione assistita nel ‘Centro sterilità’ e ”gli ovociti prelevati” erano ”stati sottoposti ad inseminazione e tre di essi” erano stati ”fecondati”. Il ”trasferimento degli ovociti fecondati in utero era previsto per il 9 maggio 2007”, ma nella notte tra l’8 e il 9 maggio il black out aveva provocato ”l’interruzione della corrente elettrica negli incubatori dove erano colturati gli embrioni’.

La coppia ha quindi chiesto all’azienda ospedaliera i danni patrimoniali, morali ”da disagio piscofisico” ed esistenziali, anche perché i due ”non sono più riusciti ad affrontare i rischi, i disagi e le aspettative” di un nuovo intervento di fecondazione assistita. L’azienda ospedaliera, invece, nella ”comparsa di costituzione” aveva respinto ogni ”addebito” e contestato ”che si sia verificato” il black out. Nel dispositivo della sentenza il giudice invece spiega che è ”accertata la responsabilità” dell’ospedale. ”La lesione del diritto verificatasi non è identificabile” con “la perdita di un figlio”, ma è una “lesione” del “diritto al concepimento”.

Il Tribunale di Milano ”per la prima volta riconosce il risarcimento del danno per morte di embrioni” spiegano gli avvocati Susanna Zimmaro e Anna Barbaccia che hanno assistito la coppia.

Articolo Precedente

Vox, un osservatorio per i diritti

next
Articolo Successivo

Ius soli o ius sanguinis? Per una cittadinanza culturale

next