Un nuovo studio realizzato per Ofcom (Office of Communications) rilancia il dibattito sulla pirateria delle reti peer to peer come Emule e Bittorent. Chi scarica illegalmente musica, film e giochi spende anche più della media per acquisti legali. Parliamo di persone dalla “dieta mediatica” vorace: il 79% del materiale viene scaricato dall’1,6% della popolazione Internet sopra ai 12 anni, quella piccola percentuale che poi è responsabile di un 11% della spesa totale per contenuti acquistati legalmente. In valore assoluto lo scarto è notevole: 168 sterline di spesa per i super pirati, 54 per chi non partecipa alle reti di scambio illegali. I dati sono coerenti con quanto emerso negli ultimi anni: nel 2006 una ricerca per la Canadian Record Industry Association, fonte tutt’altro che imparziale, aveva stabilito che solo il 25% degli intervistati scarica musica senza mai comperarla dopo un primo ascolto “abusivo”. Nel 2012 un altro studio di American Assembly confermava che i pirati sono anche i migliori clienti, capaci di acquistare fino al 30% di più rispetto ai non pirati, cifra invariata anche nell’ultima edizione dello studio fatta lo scorso gennaio.

Le major del disco sostengono che i contenuti scaricati siano guadagno perso, e che la pirateria abbia portato l’industria culturale alla crisi. In verità lo studio dell’europeo Institute for Prospective Technological Studies, diffuso il mese scorso, sostiene che “la gran parte dei contenuti consumati in maniera illegale, non sarebbe stata comunque acquistata legalmente. Questo potrebbe significare, in assenza di siti illegali, una diminuzione del 2% anche sui siti legali”. Dallo studio emerge che gli utenti smetterebbero di scaricare illegalmente in quattro casi: se i servizi legali fossero più economici e se funzionassero meglio, se quel che si cerca fosse disponibile legalmente e se fosse più chiaro cioò che è legale e ciò che non lo è. 

Il rapporto delinea un quadro meno radicale di quello dipinto dall’industria dell’intrattenimento: esiste un grande pubblico di pirati occasionali che lamenta un’offerta di mercato poco moderna e usabile. Un primo grosso problema sono le finestre di esclusiva, che ritardano l’uscita delle opere sul mercato nei vari Paesi e rendono appetibili le copie piratate da dvd usciti nei mercati dove la pubblicazione è più veloce per lo spettatore nei mercati dove le finestre sono più lunghe come in Francia. Un secondo problema sono i sistemi di protezione Drm (le tecnologie che impediscono copia e visione illegali), che impediscono di godere liberamente dei propri acquisti su qualsiasi piattaforma. Una situazione di scarto tra domanda e offerta dove esistono ampi margini di miglioramento per convertire i pirati in clienti più soddisfatti. In questo senso, qualche segnale positivo è arrivato dalla Francia, dove è stato presentato un rapporto consultivo sul futuro dell’industria dei media, che ha preso il nome dal suo autore Pierre Lescure.

In maniera molto diplomatica (e per questo criticato dai commentatori più libertari come La quadrature du net), il rapporto tra le altre cose spinge per un riequilibrio delle sanzioni spropositate di Hadopi con una semplice multa invece del complesso procedimento che porta alla disconnessione. Inoltre chiede una diminuzione da 36 a 18 mesi delle finestre di esclusiva che i servizi di video on demand devono rispettare e uno sviluppo forzato dei cataloghi digitali grazie ad un “obbligo di sfruttamento” che impedirebbe di lasciare in giacenza opere del passato, con l’effetto di stimolarne l’uscita nei circuiti pirata. Il socialista Patrick Bloche, commentando il provvedimento, ha messo l’accento su un altro punto importante: la spinta al dibattito sulla legalizzazione degli scambi per scopi non commerciali (quelli già legali in Spagna e Portogallo). Come dice sul suo blog Neelie Kroes, commissario europeo per l’agenda digitale, “le opportunità del digitale sono enormi. Per realizzarle, tutti gli attori dell’ecosistema del cinema devono essere in grado di sperimentare: chi nasconde la testa sotto la sabbia le perderà”.

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