Bernardo Provenzano è incapace di instaurare un colloquio, non risponde in modo intellegibile alle domande, non è in grado di stabilire un dialogo. È questo quanto emerge dall’incontro con il procuratore capo di Parma Gerardo Laguardia, che martedì mattina ha fatto visita al boss dei corleonesi dopo la diffusione del video di Servizio Pubblico che mostra uno stralcio dei colloqui tra Provenzano e i suoi familiari registrati lo scorso dicembre dalle telecamere di sorveglianza del penitenziario di via Burla.

Dopo aver visionato il video, la Procura di Parma ha aperto un fascicolo per fare chiarezza sulle condizioni di detenzione di Provenzano, che è in regime di 41 bis nel carcere di massima sicurezza parmigiano da marzo 2011, e indagare se ci siano state lesioni o aggressioni nei suoi confronti che possano ravvisare un reato, anche se per ora non ci sono ipotesi né risultano iscritti nel registro degli indagati.

Laguardia ha incontrato il boss insieme al pm Lucia Russo, ma dal colloquio, che è coperto da segreto istruttorio, il detenuto non è apparso in condizioni tali da poter chiarire i fatti di cui si parla nel video, in cui Provenzano fa menzione anche di “lignate” che avrebbe preso dietro ai reni. La Procura ha acquisito le cartelle cliniche dell’ospedale Maggiore di Parma, dove il boss è stato più volte ricoverato in seguito a un tentativo di suicidio a maggio 2012 e a successive cadute dal letto della cella che lo scorso dicembre lo hanno portato addirittura per un periodo in Rianimazione in coma farmacologico dopo un intervento al cervello. Gli inquirenti dovranno accertare se tra i referti medici che risalgono a dicembre (quando è stato registrato il video), ci siano riferimenti a lesioni alla testa o ad altre parti del corpo del paziente.

Anche il ministro alla Giustizia Anna Maria Cancellieri ha chiesto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di fare chiarezza sui contenuti e sulla diffusione del video. Il filmato era stato trasmesso dall’autorità giudiziaria alla Procura di Palermo insieme alle altre registrazioni dei colloqui avvenuti in carcere per accertare le condizioni fisiche e mentali di Provenzano, tra i principali imputati nel processo per la trattativa Stato-mafia. Dalle perizie mediche il boss è risultato “incapace di intendere e di volere” e quindi il procedimento nei suoi confronti è stato sospeso.

Dal momento a cui risale la registrazione ad oggi, lo stato di salute del boss si è aggravato notevolmente, tanto che il legale Rosalba Di Gregorio ha presentato più volte istanza per la sospensione del regime di 41 bis e per i domiciliari in una struttura ospedaliera, rigettata sia dall’allora ministro Paola Severino che dal Tribunale di sorveglianza di Bologna. “Sono stata io a dare il filmato ai giornalisti e porterò questo video e tutti gli altri in forma integrale alla Corte di Strasburgo – ha detto – Le condizioni di Provenzano sono molto peggiorate rispetto a quello che si vede nel video e il 41 bis è incompatibile con un detenuto che è stato dichiarato incapace di intendere e di volere. Non si può pensare che una persona in questo stato possa essere pericolosa e mandare ordini all’organizzazione mafiosa”.  

Ma c’è anche un’altra questione su cui l’avvocato del boss chiede di far luce: le telecamere che controllano Provenzano non solo durante i colloqui con i famigliari, ma anche nella sua cella. Il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria per difendere gli agenti dalle accuse di presunte percosse al boss, ha diffuso una nota in cui spiega che il detenuto è “controllato 24 ore su 24 da poliziotti e telecamere”. Ma in realtà, fino a qualche mese fa nella cella di Provenzano, a differenza di altri capi mafia, non c’era una telecamera. Il boss era sempre controllato, ma a vista, e il dispositivo di controllo video è stato montato solo al ritorno del detenuto dall’ultimo ricovero in ospedale. Secondo le parole del Sappe però, le telecamere c’erano e per questo l’avvocato Di Gregorio ha presentato istanza al gip per chiarire una volta per tutte quale delle due versioni corrisponda al vero.

Nel difendere dalle accuse gli agenti di polizia penitenziaria, Donato Capece ed Errico Maiorisi, segretario generale e vicesegretario regionale dell’Emilia Romagna del Sappe, hanno anche ricordato che il presunto suicidio messo in atto dal boss nel maggio del 2012  “fu in realtà un bluff, un maldestro tentativo di simulazione messo in atto per evitare di essere sottoposto a una visita psichiatrica già programmata”. Ma i dubbi e le ombre sul caso della detenzione del super boss nel carcere di Parma rimangono.

Proprio nella città ducale il 25 maggio è in programma un corteo nazionale contro il carcere e il regime 41 bis a cui parteciperanno manifestanti da tutta Italia. Come si legge nel volantino di presentazione, l’iniziativa, indetta dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”, ha l’obiettivo di lanciare un messaggio di protesta “Contro carcere, differenziazione, 41 bis e isolamento per la solidarietà di classe a sostegno delle lotte di tutti i prigionieri”. Il corteo, che partirà dal centro storico, dovrebbe arrivare proprio di fronte al carcere di via Burla. 

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