Cancellata la condanna per un genocidio nel giro di poco più di una settimana. E’ successo in Guatemala dove la Corte costituzionale ha annullato la pena inflitta all’ex dittatore Efrain Rios Montt e riaperto il processo a suo carico. Rios Montt era stato giudicato colpevole il 10 maggio scorso della morte di oltre 1.770 membri dell’etnia Maya Ixil durante il suo governo (1982-83). Ma la Consulta del paese centramericano ha bocciato la sentenza per alcune irregolarità formali e riportato lo stato del procedimento al 19 aprile, data in cui ci fu una disputa tra due giudici impegnati nel processo. Al momento non è chiaro quando il procedimento contro l’ex dittatore guatemalteco dovrebbe ripartire.

Un genocidio nel cuore dell’America Centrale fu portato a termibe nel corso dell’operazione chiamata molto realisticamente ”terra bruciata”. La sentenza, letta dalla giudice Jazmin Barrios, presidente del ‘Tribunal A de alto riesgo’, specificava che la condanna prevedeva 50 anni di carcere per genocidio e altri 30 per crimini di guerra e contro l’umanità.

Al centro delle accuse c’era comunque sempre lui, il vecchio generale Rios Montt. A 86 anni è considerato il responsabile dello sterminio dei Maya-Ixil, etnia del dipartimento del Quiché accusata all’epoca di aver fatto parte della guerriglia protagonista della lunga guerra civile che tra il 1960 e il 1996 ha insanguinato il Guatemala, provocando la morte, o la ‘desaparacion’, di circa 200 mila persone. “La condotta di Efrain Rios Montt rientra nel delitto di genocidio, in quanto autore dello stesso”, aveva dichiarato la giudice nel leggere il verdetto. “Ci sono stati bambini presi e portati in altre località…. operazioni alla guida delle quali c’era Rios Montt, che sapeva tutto e che non ha fatto niente per bloccarle”, ha sentenziato, precisando che l’ex dittatore “aveva invece tutto il potere per farlo, visto che era la massima autorità militare”.

Parole durissime quella della giudice che aveva pianto per l’emozione. Le sue parole erano state ascoltate in silenzio in aula e fuori dal tribunale, nella piazza dei ‘Derechos Humanos’, dove c’erano circa 600 persone, tra le quali la Nobel per la pace Rigoberta Menchu’. ”Siamo felici perché per molti anni ci hanno detto che il genocidio era una bugia, mentre oggi il tribunale ci ha detto che è la verità” aveva commentato commossa la Menchu’, esprimendo il sentimento della maggioranza della popolazione. Tutto il paese si era fermato per seguire in diretta l’ultima udienza del processo iniziato il 19 marzo. Oltre che dell’eccidio, l’ex dittatore era stato ritenuto colpevole dello sfollamento dai loro territori di circa 29 mila Ixil e della sistematica violenza sessuale perpetrata contro le donne dalle truppe che rispondevano ai suoi ordini.

Le conseguenze del massacro rappresentano una ferita difficile da chiudere. Molti dei 98 testimoni hanno raccontato i danni emotivi e mentali del genocidio. Secondo le testimonianze i soldati hanno raso al suolo interi villaggi degli indios, hanno bruciato le loro case, distrutto i raccolti, ucciso gli animali e sterminato donne e bambini. Secondo il pm, era stato proprio l’ex dittatore a ideare l’operazione ‘Terra Bruciata’: una tattica usata dai militari che prevedeva tra l’altro l’impiego di aerei e bombardamenti per contrastare la guerriglia. Per l’ex dittatore, che era stato portato in un carcere di massima sicurezza, la sentenza rappresentava ”uno show politico di interesse internazionale. Sono preoccupato per la mia famiglia, ma ho il cuore in pace: ho rispettato la legge”. Chissà cosa pensa ora della decisione della suprema corte.

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