Per l’istruzione italiana questa primavera è segnata da cicloni e nubifragi. E’ appena passato il primo ciclone Invalsi, che ha sommerso la scuola sotto un diluvio di crocette ed ecco che arriva il turno del tornado Teco, che promette di spazzar via ogni traccia di buonsenso dalla didattica universitaria.

L’obiettivo primario è sempre lo stesso: ridimensionare il sistema universitario pubblico fino possibilmente a farlo svanire del tutto. L’idea dell’Anvur, sponsorizzata e sancita da “bastone e carota” Profumo, è quella di usare la buona vecchia scusa della qualità.

Nella pratica, si inventa un sistema di valutazione che misuri la qualità con un numero: che il sistema sia preciso e/o che sia aggirabile poco importa, tanto il fine vero è quello di avere un pretesto per tagliare. Quindi si fa una bella classifica degli atenei e il gioco è fatto: si danno (pochi) più fondi a chi sta in alto e (molti) meno a chi sta in basso, l’ammontare dei tagli è superiore a quello dei premi e il ridimensionamento è servito.

Fino a ieri nelle università ci si era limitati a fare questo gioco “misurando” la ricerca: ma la notizia è che ora inizia la sperimentazione della misura della qualità didattica. Le cavie di laboratorio sono 20.000 studenti in procinto di laurearsi, iscritti in uno dei 12 atenei (Roma Sapienza e Tor Vergata, Bologna, Milano Statale, Padova, Napoli Federico II, Firenze, Cagliari, Messina, Piemonte Orientale, Udine e Lecce), che da oggi al 20 giugno sosterranno il Teco (TEst sulle COmpetenze generaliste), l’adattamento italiano del test Cla. Il costo è stimato in diverse centinaia di migliaia di euro, senza contare le migliaia di ore lavorative per la correzione degli elaborati.

A  prima vista il compito appare titanico. Negli atenei ci sono centinaia di diversi corsi di laurea, su argomenti che spaziano dalla chimica alle lingue orientali: come faccio a dire se il Politecnico di Milano è meglio di Sapienza, o  della Bocconi, quando i corsi che vi si tengono sono così differenti? La soluzione sta nel far fare a tutti gli studenti lo stesso test, con l’obiettivo mistico di azzerare la complessità misurando una caratteristica che dovrebbe essere comune a tutti gli studenti, pedagoghi o ingegneri che siano: il “pensiero critico”.

In estrema sintesi il test Cla consiste in un elaborato scritto che deve soddisfare un determinato compito, come ad esempio individuare voci di spesa da tagliare in un ipotetico bilancio comunale (!) motivando la scelta sulla base di documenti e statistiche fornite all’uopo, condito da una serie di immancabili domande a crocette. I creatori del test sono talmente fiduciosi nelle sue potenzialità taumaturgiche da affermare che le università dovrebbero finalizzare la loro didattica proprio al superamento di questo test, modificando all’uopo corsi e programmi.

Come sempre, però, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: il test presenta infatti enormi problemi, tanto che subito dopo le sue prime sperimentazioni negli Stati Uniti, è stato impallinato da autorevoli esperti. Questa cattiva fama ha generato un altro problema: la scarsa partecipazione ai test. Gli studenti vengono allettati dicendo loro che i risultati di questo test servono a trovare lavoro, ma negli Usa hanno fiutato il bidone; per incentivare la partecipazione il produttore del test suggerisce agli atenei di pagare i candidati, 25 dollari cash a testa, o in alternativa con una lotteria: un iPad gratis ogni dieci partecipanti!

In Italia gli studenti non prenderanno un euro, gli verrà solo rifilata la storiella del test “utile per trovare lavoro”. In compenso, a giudicare dall’esempio contenuto nella presentazione inviata dall’Anvur agli atenei, il Teco promette di deliziare gli amanti del trash.

Una possibile questione su cui si misurerà la preparazione di futuri medievisti, ingegneri, psicologi e infermieri: nel comune di Villapietra il candidato sindaco “Dr. Greco”, durante un’intervista in Tv, afferma che guidare telefonando con il cellulare aumenta gli incidenti stradali. Lo studente deve smentirlo, sulla base di alcuni dati e tabelle, perchè il numero di incidenti stradali *per abitante* è sempre lo stesso. Più che una prova per valutare le università sembra uno dei quiz di enigmistica del signor Gedeone.

La seconda questione se la gioca sull’attualità: usare Facebook fa bene o male allo studio? Vengono presentati i risultati di una immaginaria ricerca fatta su “50 studenti di passaggio” davanti ai bar e ristoranti più “gettonati” del campus, da cui si evince che Facebook è deleterio. Forse però anche chi ha ideato il test abusa di Fb: si legge che “il 79% degli studenti afferma che”…ma il 79% di 50 corrisponde a 39 studenti e mezzo: forse uno era molto indeciso?

Subito dopo riportano i dati dei 50 studenti su un grafico, che sembra stato realizzato mettendo dell’inchiostro nero nel naso di un elefante raffreddato e facendolo starnutire su un foglio:

Un rapido conteggio e.. sorpresa! Abbiamo 50 studenti, ma i pallini neri sono più di 100! Forse a forza di stare davanti al bar più gettonato gli intervistatori si sono concessi qualche grappino di troppo.

Infine, la domanda a crocette. Bisogna decidere quale studio, tra i quattro proposti, conferma l’idea secondo cui Facebook fa male allo studio. La risposta giusta da dare è: ”i risultati di uno studio mostrano che gli utenti assidui passano il loro tempo libero al bar mentre gli utenti occasionali passano il loro tempo libero in biblioteca”.

Quindi, se per l’Anvur il bar è un luogo di perdizione, la biblioteca è sinonimo di redenzione e qualità. Tenetelo presente, cari studenti, quando vi verrà proposto di fare il test Teco. Potrete rispondere sereni e sicuri: “E’ una richiesta trabocchetto: esercitando il pensiero critico, preferisco investire il mio tempo in biblioteca”. Forse farete arrabbiare l’Anvur, ma l’università italiana ve ne sarà eternamente grata.

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