La domanda è da far tremare le gambe, annichilire i cuori, ottundere le menti: chi scegliereste tra il vostro figlio biologico e quello che avete cresciuto per 6 anni pensando fosse vostro? Architetto workaholic, Ryota s’è guadagnato una vita agiata: famiglia da Mulino Bianco, Lexus in garage, appartamento “che sembra un hotel”. Ma un giorno la moglie Midori riceve una telefonata dall’ospedale dove aveva partorito: Keita non è il loro figlio, è stato scambiato alla nascita. Mentre il “legittimo” è finito in una famiglia meno agiata, ma più gioiosa e affettiva… In Concorso al 66° Festival di Cannes, il valente giapponese Kore-eda Hirokazu (Nobody Knows, Still Walking) ritrova il formato famiglia con Like Father, Like Son, mettendo – a oggi – una seria ipoteca sulla Palma d’Oro: lacrime e commozione in proiezione stampa, e non è difficile immaginarsi anche il presidente di giuria Steven Spielberg e il collega Ang Lee con i lucciconi. Vedremo, è ancora lunga. Il soggetto non è nuovo, anzi: I figli della mezzanotte di Salman Rushdie, e poi Deepa Mehta (cherchez l’infermiera…), Le fils de l’autre di Lorrain Levy, solo per rimanere alle ultime uscite in sala, ma Kore-eda può non curarsene, perché ha dalla sua la forza dell’emotività senza ricatti, l’empatia senza nazionalità, la bontà senza buonismo.

Girato con stile, ma senza ostentazione, attaccato con leggerezza ai moti d’animo, i gesti del quotidiano, i detti e non detti del cuore e della mente, Tale padre, tale figlio non procede mai per schematismi e sterili contrapposizioni, giocando il “conflitto” tra ricchi e poveri, lavoro e famiglia (l’altra) con quell’ironia e levità che toglie qualsiasi calcificazione manichea. Si ride, le battute e gli intermezzi comici non mancano, ma si va inesorabilmente verso la Scelta: di due uno, quale figlio tenere? Ryota pensa di tenersi Keita e prendere pure l’altro, forte della superiorità di censo, ma non va, non può andare, semplicemente, non è giusto. La colpevole c’è, un’infermiera, ma lo scambio fa affiorare sensi di colpa, di inappartenenza, di paternità delegata e relegata: che fare?

Magnificamente interpretato – i ricchi genitori sono Masaharu Fukuyama e Machiko Ono, quelli poveri Lily Franky e Yoko Maki – con il surplus di due bambini da premio, che toccano cuore e cervello in ogni frame, il film scivola fluido ed empatico tra due termini che in inglese sono significativamente, drammaticamente simili: nature e nurture, da una parte l’affinità biologica, lo stesso sangue, dall’altra, il figlio che hai tirato su, educato, allevato. Quale Scelta? Kore-eda, anche sceneggiatore, sceglie, ma lascia anche una sottile ambiguità. Al contrario di Like Father, Like Son, indiscutibilmente un grande film. Si ride, sia piange, che volete di più?

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