La settimana si preannuncia calda per la discussione sulla privacy online: si riunirà il gruppo di lavoro che da due anni porta avanti la proposta per Do Not Track (Dnt), lo standard che regolamenta come si può tracciare la navigazione degli utenti per erogare pubblicità mirata, e come di converso i navigatori possono svincolarsi da questo per navigare in forma anonima. La discussione langue e un accordo è lontano: al tavolo sono seduti i grandi nomi dei browser come Explorer e Firefox insieme ai rappresentanti dell’industria della pubblicità digitale, con il nome di Digital Advertising Alliance (Daa). 

La posta in palio è alta, viste le implicazioni di Dnt per utenti e inserzionisti. L’atmosfera è rovente: alcuni giorni fa Jonathan Mayer, sviluppatore di Firefox, che a fine giugno rilascia la nuova versione 22, ha alzato i toni su Twitter arrivando a dire che la negoziazione è in stallo e che è arrivato il momento di chiuderla visto l’impasse. Dal canto suo la Daa ribatte che Microsoft e Firefox non hanno rispettato i patti presi alla Casa Bianca: a dicembre la società fondata da Bill Gates aveva confermato l’intenzione di lasciare Dnt acceso per default sul proprio browser Explorer, seguendo il desiderio del 75% dei propri utenti. A questo era seguita la risposta di nomi importanti come Google, Yahoo! e Facebook: spaventati dalla possibilità di perdere miliardi di fatturato pubblicitario a seguito dell’opt out dei navigatori, i grandi del web avevano dichiarato che non avrebbero rispettato la richiesta Do Not Track dei browser.

E qui sta il punto: lo standard può funzionare solo se tutti sono d’accordo. In altre parole è un sistema basato sull’onere che tecnicamente non vincola nessuno che non sia d’accordo. E ovviamente i grandi portali stanno dalla parte degli inserzionisti, non sono d’accordo a perderci. Viceversa per i grandi browser la partita è molto semplice da giocare: si vocifera che Microsoft Advertising non sia più nelle strategie di investimento dell’azienda, mentre Firefox non ha interessi diretti al riguardo essendo un progetto non commerciale, indipendente e libertario. Da parte sua Google ha la posizione più ambivalente: ultimo ad implementare Dnt sul proprio browser, ha condotto in parallelo un’azione di lobbying contro la proposta di legge nello stato di California, dove il settore dell’hi tech rappresenta la principale fonte di nuovi posti di lavoro: “Approvare Dnt sarebbe come fermare l’industria petrolifera del Texas“. Fare gli interessi degli utenti per i grandi browser è facile, per molti è un semplice esercizio di pubbliche relazioni: il problema è che la linea dura di Mozilla con Firefox e di Microsoft con Explorer rischia di far naufragare un accordo tanto delicato quanto essenziale a soddisfare effettivamente il desiderio di privacy dei navigatori.

Certo che la situazione diventa surreale quando soggetti come la Daa intervengono nel dibattito con prese di posizione di questo genere: “Il marketing è la benzina del mondo. E’ americano quanto la torta di mele e fornisce ai consumatori informazioni su prodotti per cui mostreranno interesse proprio nel momento in cui cercheranno informazioni. Do Not Track dovrebbe permettere il tracciamento sempre per fini di marketing come uno dei valori fondanti di una società civile. I suoi effetti positivi spingono avanti la democrazia, la libertà di parola e, sopratutto, il mercato del lavoro“. A questo si aggiungono nuove tecnologie come il fingerprinting, capaci di schedare il computer o il cellulare per spingere pubblicità mirata anche a chi dovesse usare tecnologie come il Dnt. In altre parole, tutta la negoziazione che verte intorno a questo standard rischia di portarci ad un accordo morto prima di nascere, qualcosa di sorpassato da nuovi sistemi ancora meno facili da regolamentare.

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