I media lanciano, periodicamente, allarmi e i politici cavalcano l’onda proponendo soluzioni improbabili (come l’introduzione del braccialetto elettronico per le vittime di stalking, ma la verità è che in Italia non esiste un’emergenza per quanto riguarda la violenza contro le donne. La situazione, infatti, è strutturalmente grave. Per affrontare il problema nella sua complessità, Dire (Donne in rete contro la violenza) ha organizzato il convegno “Dai centri antiviolenza azioni e proposte per rafforzare la libertà delle donne” che si è tenuto oggi 16 maggio a Roma. “La violenza è una costante di tutte le società in cui predomina ancora un modello patriarcale nella relazione tra i sessi e in famiglia. Non è un fatto privato – spiega Titti Carrano, presidente di Dire – Quel che serve è l’assunzione di responsabilità, con conseguenti risposte efficaci, da parte dello Stato”. 

I dati raccolti dai centri antiviolenza aderenti a Dire – quindi parziali rispetto al fenomeno nel suo complesso – illustrano la gravità della situazione: nel 2012 sono state circa 15mila le donne che hanno chiesto aiuto perché vittime di abusi da parte di uomini. Il loro numero è in aumento rispetto agli anni scorsi: nel 2011 sono state 13.140, nel 2010 13.696, nel 2009 13587, nel 2008, 11.805. La maggioranza di queste donne, quasi il 70 per cento, sono italiane e nel 90 per cento dei casi hanno subito maltrattamenti all’interno della famiglia.

Per cambiare la situazione servono interventi mirati e strutturati. Come quelli previsti dal protocollo di intesa tra Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e Dire che è stato stipulato oggi, durante il meeting, e che stabilisce una collaborazione con gli enti locali per sviluppare azioni e progetti di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne. Tra questi: inserimento dei centri antiviolenza nei piani di zona, formazione della polizia municipale, elaborazione di linee guida rivolte agli operatori del servizio sociale. Inoltre l’Anci si impegna a sensibilizzare i Comuni ad esaminare attentamente le pubblicità invitandoli a non dare l’autorizzazione a cartelloni che diano un’immagine mercificata o denigratoria delle donne.

Verrà poi affrontata anche la questione dei dati sulla violenza contro le donne: come ha più volte denunciato anche Linda Laura Sabbatini dell’Istat, presente al convegno, non esistono rapporti adeguati. E la carenza di numeri rende difficile la conoscenza esatta del fenomeno. Un deficit tutto italiano visto che la maggior parte dei Paesi europei invece monitora capillarmente la situazione. Ci distinguiamo dal resto dei Paesi civili anche per quanto riguarda la quantità dei centri: il Consiglio d’Europa ha raccomandato 1 centro antiviolenza ogni 10mila persone, ma noi ne abbiamo in tutto 130 e soltanto meno della metà hanno la possibilità di ospitare donne.

L’economista Antonella Picchio sottolinea che per capire la violenza fisica e psicologica contro le donne è necessario svelare alcuni aspetti profondi della realtà del sistema economico. “Viviamo in un sistema che è sostenibile soltanto grazie al lavoro sommerso delle donne, che viene fatto nel chiuso delle case – dice Picchio – Sono ancora le donne, infatti, che si prendono cura dei compagni e mariti, maschi adulti che abusano delle loro energie per risolvere i problemi della vita quotidiana. Quando le donne si ribellano a questo sistema e cercano una maggiore autonomia alcuni uomini non reggono la propria insicurezza e mettono in atto molte forme di violenza, fino alle più estreme”. Ci troviamo, secondo Picchio, di fronte a una drammatica questione maschile, inserita in un sistema economico in cui responsabilità e risorse non vengono suddivise equamente. Non ci sono quindi le condizioni perché le donne possano, quotidianamente, lavorare e vivere in modo sostenibile.

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