Le elezioni amministrative di Roma sono alle porte, ma nessuno discute di uno dei problemi principali della città eterna: il trasporto pubblico. Eppure la municipalizzata Atac è stata al centro degli scandali e continua a costare centinaia di milioni di euro ai contribuenti italiani. Vi è tuttavia una novità positiva: la possibile introduzione dell’accesso unico nel settore del trasporto pubblico urbano che potrebbe aiutare Roma e l’Italia a fare un passo in avanti.

Negli anni scorsi questa innovazione, presente in tutte le grandi città d’Europa e del mondo, era stata osteggiata dai sindacati e dalle normative che impedivano al conducente di fare da “controllore”. Tale mancanza tuttavia provocava un’evasione molto più elevata da parte dei passeggeri ed è uno dei motivi – non l’unico – che provoca dei costi operativi per vettura chilometro doppi rispetto a Svezia o Gran Bretagna.

Questo significa che per ogni chilometro percorso da un autobus, in Italia i costi sono doppi rispetto a Svezia e Gran Bretagna, dove gli stipendi dei conducenti sono comunque maggiori. Un’inefficienza organizzativa che costa alla collettività oltre 2 miliardi di euro l’anno. Se infatti i costi italiani venissero allineati alle migliori esperienze europee, tramite una liberalizzazione e gare per l’assegnazione del servizio, i contribuenti potrebbero risparmiare fino a quasi 2 miliardi di euro l’anno in tasse.

Solo poco più del 35 per cento dei costi sono infatti pagati dai viaggiatori con il biglietto, mentre la maggior parte del servizio è pagato da tutti i cittadini con le proprie tasse. Ad esempio a Roma i contribuenti danno quasi 1 milione di euro al giorno all’azienda di trasporto tramite le tasse: e poi ci sono i prezzi dei biglietti da pagare.

Si potrebbe obiettare che in Gran Bretagna e Svezia i prezzi dei biglietti sono più elevati. È vero, ma non bisogna confondere i prezzi dei biglietti con i costi del servizi. In Gran Bretagna i biglietti coprono quasi la totalità dei costi, mentre in Italia solo il 35 per cento. Con il livello di contributi italiani pagati dallo Stato alle aziende di trasporto pubblico locale, ma con un livello di efficienza britannica o svedese, in Italia si potrebbe viaggiare gratis sugli autobus. Un paradosso che deve fare riflettere.

La situazione italiana non ha visto dei grandi cambi nel corso degli ultimi anni, nonostante le recenti modifiche normative. Una tendenza che si è resa evidente è stata quella del taglio delle risorse pubbliche che di fatto ha obbligato le diverse aziende ad effettuare tagli dell’offerta. Paradossalmente il taglio delle risorse pubbliche è stato positivo secondo quanto emerge dai dati del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti.

A fronte del taglio dell’offerta non si è registrato un calo della domanda di servizi urbani per quanto riguarda il trasporto pubblico locale. Anzi, il taglio delle risorse  ha portato di fatto a un incremento del load factor fino ad arrivare a livelli mai raggiunti prima. E nell’ultimo biennio la capacità di riempimento è arrivata intorno al 19 per cento, dopo che per anni era rimasta stabile tra il 15 e il 17 per cento. 

Il problema nei confronti delle normative e delle gare, quindi, è soprattutto politico. L’azienda pubblica locale a cui viene assegnato il servizio pubblico – con gare non proprio fatte in maniera trasparente o tramite assegnazione diretta – è gestita direttamente dai Comuni o da livelli di governo similari. E migliaia di dipendenti molto utili al momento del voto. Tale gestione diretta del potere è dunque utile ai fini elettorali, anche se costa due miliardi di euro al contribuente italiano. Si comprende allora, a Roma come in altre città, che nessun politico sia così interessato a cambiare realmente questo sistema.

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