Umberto Ambrosoli non ce l’ha fatta e mentre il consiglio regionale della Lombardia commemorava Giulio Andreotti, morto ieri, è uscito dall’aula del consiglio regionale della Lombardia. L’avvocato, candidato del centrosinistra alla poltrona di governatore conquistata da Roberto Maroni, non ha partecipato alla cerimonia e al minuto di silenzio rispettato per ricordare l’uomo politico più controverso e discusso della storia repubblicana italiana.

Tutti i consiglieri, compreso il segretario della Lega Maroni, hanno ascoltato in piedi il discorso del presidente Raffaele Cattaneo. Ma non Umberto, figlio di Giorgio il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana assassinato nel 1979 dai sicari di Michele Sindona. Interpellato, il suo staff ha spiegato che non ha voluto fare “polemiche né commenti per rispetto alla morte di una persona”, ma che non ha voluto condividere la commemorazione. Il discorso per ricordare il senatore a vita è stato ascoltato in silenzio e in piedi dai consiglieri di maggioranza e di opposizione.

”Ho una storia personale che si mischia” coi lati oscuri di quella di Andreotti, “ma non è il caso di fare polemiche: è giusto che le istituzioni ricordino gli uomini delle istituzioni, ma chi ne fa parte faccia i conti con la propria coscienza” ha detto ai giornalisti Ambrosoli. “E’ comprensibile – ha argomentato è il coordinatore dei gruppi di centrosinistra al Pirellone – che in occasione della morte di persone che hanno ricoperto ruoli istituzionali di primo piano le istituzioni le commemorino. Ma le istituzioni sono fatte di persone, ed è legittimo che queste facciano i conti con il significato delle storie personali”.

Il figlio dell’eroe borghese, come venne definito in un libro di Corrado Stajano, non è entrato nei dettagli della vicenda drammatica che ha coinvolto la sua famiglia né nei rapporti che vari procedimenti giudiziari hanno rintracciato fra Andreotti e Sindona (quest’ultimo condannato come mandante dell’assassinio), e senza citare quella definizione data dallo statista Dc a proposito del padre, uno “che in termini romaneschi se le andava cercando”.

 

Era il 2010 quando, in una puntata de “Lastoria siamo noi”, Andreotti rispose così sul perché, secondo lui, Giorgio Ambrosoli era stato ucciso: “Questo è molto difficile, io non voglio sostituirmi né alla polizia né ai giudici”, rispose il senatore a vita guardando a un tempo in cui ricopriva cariche di governo al massimo livello. “Certo – aggiunse subito Andreotti – era una persona che in termine romanesco direi se l’andava cercando”. Una frase che, insieme ai rapporti personali fra il sette volte presidente del Consiglio e il banchiere Sindona, condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio del commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, è sicuramente ben presente nei pensieri del figlio Umberto.

Ai giornalisti l’avvocato, che ha fatto della pacatezza la sua cifra di espressione, ha ribadito che “ci sono lati oscuri della vita di Andreotti verso i quali ciascuno ha la sua sensibilità” al di là del rispetto per una persona deceduta: “Questi elementi – ha concluso Ambrosoli – continuano anche nel momento del ricordo, pur senza polemiche”.

Il presidente del consiglio lombardo Cattaneo ha ricordato l’ex premier democristiano sottilineando che “il suo percorso politico e istituzionale si radica nella sua formazione culturale maturata sull’impronta di un cattolicesimo popolare e fedele alla tradizione che ha rappresentato per tutta la vita il riferimento del suo agire dentro e fuori le istituzioni”. “Al di là delle opinioni differenti che legittimamente si possono avere sulle ombre e sulle vicende giudiziarie che ne hanno segnato la vita negli ultimi anni – ha proseguito -, sono comunque esemplari la temperanza, il rispetto delle istituzioni (inclusa la magistratura) e l’umiltà con cui ha affrontato il giudizio dei tribunali”. Dunque, ha concluso il presidente del Consiglio regionale lombardo prima di chiedere il minuto di silenzio alla memoria di Andreotti, “con la sua scomparsa se ne va un pezzo della storia italiana, dunque qualcosa che appartiene a tutti, amici e avversari politici”.

“Quando si opera nelle istituzioni, ci sono responsabilità collettive che trascendono le valutazioni squisitamente personali” dice Cattaneo. “Rispetto le ragioni personali e neppure io voglio alimentare polemiche, ma – dice l’esponente del Pdl – sono rimasto francamente sorpreso dalla scelta di Ambrosoli di uscire volontariamente dall’Aula”. Per Cattaneo, “la commemorazione si è tenuta in un clima non di celebrazione, ma di giusto omaggio al percorso politico di un uomo delle istituzioni che, seppur nelle vicende alterne, come tra l’altro ho ricordato anch’io nel mio intervento, ha indelebilmente segnato la vita del nostro Paese e ha contribuito da protagonista alla costruzione della democrazia in Italia dal dopoguerra ai nostri giorni”. 

Per Maroni invece quello di Ambrosoli “non è stato un gesto elegante nei confronti di un politico che ha segnato la storia d’Italia”.

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