Fra i vari epiteti che sono stati diretti a Cécile Kyenge, neoministro all’integrazione, forse pochi hanno posto attenzione critica a quel “faccia da casalinga” che Mario Borghezio le ha attribuito nonostante sia consapevole che la dott.ssa Kyenge è un medico che svolge la professione di dentista. In questo caso, beninteso, ad offendersi dovrebbero essere le casalinghe, dato che frase di Borghezio  aveva un chiaro intento riduttivo, quasi le casalinghe fossero stupide o incapaci, e comunque prive dei numeri che le possano mettere in grado di accedere a quei ruoli di responsabilità nazionali che la Costituzione apre invece a tutti i cittadini.  

Vorrei parlarne oggi, festa del lavoro, perché quello della casalinga, sebbene non remunerato, è un lavoro equiparabile agli altri, come affermato dalla sentenza 28 del 1995 della Corte Costituzionale, che riconosce il diritto previsto dall’art. 35 della Costituzione (La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni…) anche a quello svolto in ambito familiare.

Un lavoro che richiede doti organizzative, oltre che una certa fatica fisica, ed è spesso essenziale, con riguardo ai bimbi molto piccoli, figli disabili o parenti anziani non autosufficienti, non solo alle singole famiglie, ma al welfare ed all’economia della nazione. Un lavoro che è pure funestato da incidenti e morti sul lavoro: secondo i più recenti dati Istat, ogni anno in Italia si verificano fra i 3,3 e i 4,5 milioni di infortuni in ambito domestico (il 40% in cucina), di cui 8000 con esito mortale, mentre gli incidenti sul lavoro fuori casa contano annualmente 770.000 vittime con 800 morti.

Secondo gli studi, fra le persone maggiormente esposte agli incidenti domestici vi sono proprio le casalinghe. Non a caso la legge italiana prevede l’obbligo ad assicurarsi per tutti coloro, in età compresa tra i 18 ed i 65 anni, che svolgono in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione, lavoro finalizzato alla cura dei componenti del proprio nucleo familiare e del relativo ambiente domestico, qualora non svolgano altra attività che comporti l’iscrizione presso forme obbligatorie di previdenza sociale.

Non dimentichiamo anche che la crisi e la conseguente disoccupazione stanno costringendo sempre più uomini a restare a casa, creando anche una popolazione di uomini casalinghi. Lo confermano i dati Istat per il 2012, i quali mostrano invece un decremento delle casalinghe, di cui oltre trecentomila hanno dovuto cercarsi un impiego per fronteggiare le difficoltà economiche. Una osmosi fra lavoro domestico e lavoro esterno che conferma come il disprezzo contenuto nell’espressione “faccia da casalinga” e il sottinteso che chi resta a casa non sia capace di fare altro, sia un mero pregiudizio.

Quindi, al di là del fatto che esista o meno una “faccia da casalinga”, una casalinga che diventasse ministro non dovrebbe destare sfiducia o ironia, come non la desta in Germania, dove Ursula von der Leyen – casalinga madre di 7 figli –è ministro del lavoro. E nel nuovo panorama politico italiano c’è chi, come Beppe Grillo, propone invece di affidare il ministero dell’economia ad “una casalinga con tre/quattro figli un solo stipendio e il mutuo della casa” perché, sostiene, “in un solo anno sarebbe in grado di rimettere a posto i conti dello Stato”.

Un’idea che, a prescindere dal proprio consenso al Movimento Cinque Stelle, probabilmente molti Italiani, guardando gli esiti fallimentari dell’operato di politici e professori succedutisi a quel ministero e consci della capacità di lavoro, organizzazione e sacrificio delle proprie mamme e mogli nell’ambito domestico, si sentirebbero di sottoscrivere.

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