Da noi è la realtà, in Turchia un film: Muffa. Un piccolo grande film, che sa forte di neorealismo, ma non batte bandiera tricolore.

Leone del Futuro all’ultima Mostra di Venezia, l’esordiente Ali Aydin ha scelto un titolo senza appello, respingente: lo boccerebbe qualsiasi produttore nostrano, qualsiasi esperto marketing nazionale. Ma a portarlo sull’altra sponda del Mediterraneo c’è dell’altro: “L’unica cosa che mi ha fatto scrivere questa storia è la mia coscienza”. Da quanto tempo noi non lo sentiamo più? E non solo al cinema.

Nelle nostre sale con la Sacher di Moretti, Muffa (Küf) è perfettibile, ma insieme tosto, cupo, ineluttabile, parla di solitudine, speranza e senso di colpa, parla dell’uomo per l’uomo, e il grimaldello giusto l’ha già tirato fuori il regista: Dostoevskij.

Con buoni motivi, fatte le debite proporzioni, perché il suo Basri, guardiano delle ferrovie, cammina senza requie e senza senso sui binari turchi e tra le pagine dello scrittore russo, mosso da un’unica – irragionevole – ragione: sapere che fine ha fatto il figlio Seyfi, arrestato per motivi politici 18 anni prima. Ogni mese Basri scrive al ministro degli Interni e alla Questura: l’unica risposta sono periodici interrogatori, con sporadiche torture. Ma Basri non molla: disperatamente abulico, inconsultamente meccanico, va avanti, sventando uno stupro, cadendo preda di attacchi epilettici e trovando – dostoevskianamente – altri idioti, altri umiliati e offesi, altre notti bianche. Perché Basri rimane attaccato a quel che rimane di ogni perdita: ciò che si è perso. Un figlio, l’idea sfatta carne del figlio.

Aydin parte dall’associazione Cumartesi Anneleri, “le madri del sabato” che davanti al liceo Galatasaray protestano per i propri figli o fratelli scomparsi nelle carceri turche, ma va oltre la cronaca impegnata e la denuncia civile. Muffa è letteratura, vulnus interiore, dolore con nome e cognome. Muffa è forma raffreddata (pochi movimenti di macchina, un lungo piano sequenza rivelatore) e coscienza arroventata.

Muffa è cinema: povero fuori, ricco dentro. Vi ricorda qualcosa? Comprensione e comprensibilità universali, come nel neorealismo che fu e nei cinema poveri ultimi scorsi, dall’Iran alla Romania e, appunto, la Turchia. Rimane la muffa, lascito della decomposizione del figlio e della marcescenza del padre. E rimane Muffa, un esordio che passa l’esame. Di coscienza. Anche la nostra?

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