E’ trascorsa una settimana appena dal flash mob “Rompiamo il silenzio. Un fiore per Michela e le altre organizzato dopo il femminicidio di Michiela Fioretti, l’infermiera di Ostia uccisa a colpi di pistola dall’ex marito.

Cinquecento donne in piazza, cinquecento fiori per rompere il silenzio. Con noi le figlie piccole di Michela, la madre e i familiari. Un messaggio corale nel brusio di voci e volti che hanno spezzato il dolore di un’intera comunità con la rabbia. Rabbia per sopravvivere al dolore, rabbia perché Michela non è l’unica. Tre casi in tre giorni, due donne uccise dall’ex marito e dall’ex fidanzato, una sfigurata con l’acido. Centoventiquattro i casi di femminicidio nel 2012, otto le vittime collaterali, per lo più figli. Michela non è l’unica e non è neanche l’ultima, perché la violenza fa morire una donna (e un individuo) anche quando non uccide. Come è successo a Audrie, 15 anni, che si è tolta la vita pochi giorni fa dopo uno stupro di gruppo

Organizzare il flash mob per Michela e le altre non è stato facile. Non per il poco tempo a disposizione, il passa parola via Facebook e tra le colleghe di ospedale è bastato per portare in piazza centinaia di persone, e neanche per l’aspetto emotivo. E’ vero, chiedere a una famiglia distrutta di condividere un dolore privato non è cosa semplice, ma accompagnarla in questa condivisione è ben altro. Non è stato facile in primo luogo trovare le parole: un aggettivo può fare la differenza e il riconoscimento della violenza di genere passa anche attraverso la rimodulazione del linguaggio. Un “amore criminale” è un ossimoro, un “omicidio passionale” è una giustificazione, un “un raptus di follia” è un’attenuante oltre che una menzogna.

E non è stato facile soprattutto perché a questa iniziativa dovevamo dare un seguito, dovevamo dire che dopo i fiori, per Michela e le altre, ci sarà giustizia; dovevamo ribadire che il silenzio va rotto non solo durante un flash mob ma ogni giorno, in ogni luogo, negli ospedali e soprattutto nelle scuole, per insegnare ai giovani che l’amore non è possesso fin dalle prime relazioni.

Non c’è voluto molto perché dopo il flash mob decidessimo di rincontrarci. E’ nato un coordinamento di donne che ha organizzato per lunedì 6 maggio, alle ore 18, un’assemblea pubblica presso l’Aula Sinibaldi della Direzione Sanitaria dell’ospedale Grassi di Ostia (Via Passeroni). All’assemblea hanno già aderito e parteciperanno le associazioni, i comitati di quartiere e i centri di ascolto territoriali ma anche alcune tra le realtà più attive a livello nazionale per contrastare la violenza di genere, tra cui Pangea onlus, Differenza donna, l’Udi (Unione delle donne italiane) e altre associazioni che hanno sottoscritto la Convenzione di Istanbul.

L’obiettivo è quello proseguire nel percorso intrapreso dopo il flash mob “Rompiamo il silenzio”, per intraprendere iniziative di sensibilizzazione, rivendicare provvedimenti legislativi a partire dalla ratifica della Convenzione di Istanbul e per creare un coordinamento tra le associazioni che contrastano quotidianamente la violenza di genere.

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