Madrid avrà due anni in più per ridurre il deficit pubblico fino al 3 per cento del Pil: dal 2014 al 2016. Mariano Rajoy l’ha chiesto, la Commissione Ue l’ha concesso. Ma la trattativa con Bruxelles passa da un nuovo aumento delle tasse, un ulteriore valzer di tagli alla spesa pubblica, un’altra spinta per le riforme strutturali in corso. Sul tavolo, ad esempio, c’è la riforma del lavoro e delle pensioni. E la scure potrebbe presto abbattersi senza nessuna moderazione.

Alla Moncloa avranno dunque più tempo per aggiustare il bilancio, punto chiave della lotta contro la crisi degli ultimi anni. Eppure, il governo Rajoy ha ammesso venerdì pomeriggio, durante una delle riunioni più attese del Consiglio dei ministri, che anche l’uscita del Paese dalla crisi è destinata a ritardare. E di parecchio. Per crescere al di sopra dell’un per cento, per creare lavoro in maniera significativa bisognerà attendere almeno fino al 2016. Anche qui, due anni più del previsto.

Nessuno lo nega: nel 2011 gli spagnoli avevano messo una croce sul Partido popular soprattutto per porre rimedio alle preoccupanti cifre sulla disoccupazione che si erano accumulate negli ultimi anni del governo Zapatero. E tutta la campagna elettorale del Pp era stata confezionata su misura per il rinnovamento del mercato del lavoro. Alla conferenza stampa del Consiglio dei ministri però, dopo i nuovi dati record diffusi giovedì dall’Istituto nazionale di statistica – 6 milioni e 200mila i disoccupati, il 27 per cento della popolazione attiva e il 57 per cento dei giovani – il governo ha ammesso per la prima volta che lascerà il Paese peggio di come l’ha trovato: tre punti in più di disoccupazione e 1,3 milioni di posti di lavoro andati in fumo.

Un annuncio che ha lasciato gli spagnoli in stato di choc, soprattutto quando è stato chiesto alla vicepresidente Soraya Sáenz de Santamaría se Rajoy stesse ammettendo il suo fallimento proprio sulla politica del lavoro, cavallo di battaglia. Lei ha risposto frustrata: “Non si possono fare miracoli”. In privato però, l’esecutivo non nasconde la sua preoccupazione e cerca già un colpevole: Angela Merkel e la sua politica di austerità, che il premier spagnolo ha abbracciato nel 2012 e adesso cerca di frenare. Le nuove cifre economiche, che il governo invierà a Bruxelles come garanzia, sono infatti più caute rispetto a quelle mostrate finora. “I nuovi presupposti sono estremamente moderati, più misurati per fornire credibilità all’azione del governo” ha giustificato il ministro dell’Economia Luis de Guindos. Insomma le previsioni presentate l’anno scorso dallo stesso Guindos erano state troppo ottimistiche. Così da una parte alla Spagna tocca rivedere le stime del mercato del lavoro: in base alle nuove proiezioni il tasso di disoccupazione si attesterà intorno al 25,8 per cento nel 2015, più di tre punti rispetto all’inizio del governo Rajoy, e nel 2016 scenderà al 24,8. Dall’altra il Paese sposta l’obiettivo di portare il deficit pubblico al 2,8 entro il 2014, come inizialmente concordato con Bruxelles, al 2016.

Secondo il nuovo percorso proposto dal governo il disavanzo pubblico, che dovrebbe scendere dal 10,6 per cento al 6,3 del Pil nel 2013, il prossimo anno rimarrà al 5,5 per cento – quando sarebbe dovuto andare sotto il 3 – e scenderà al 4,1 nel 2015 per poi riuscire a raggiungere il 2,7 nel 2016. Inoltre il governo aveva previsto che quest’anno l’economia spagnola avrebbe subito una contrazione dello 0,5 per cento, mentre tutti gli istituti di analisi avvertivano che il Pil si sarebbe potuto contrarre dell’1,5. Ora l’esecutivo ha dovuto rivedere le proprie previsioni ammettendo che l’economia del Paese potrebbe subire una contrazione dell’1,3.

Ma c’è di più. Dopo aver chiesto e ottenuto dall’Europa la proroga di due anni per risistemare i conti pubblici, il governo ha annunciato che estenderà per altri due anni l’aumento dell’imposta sul reddito (Irpef), introdotto nel 2012 ma a tempo “determinato”. Insomma la Spagna spera di riequilibrare i conti con nuove tasse speciali, in particolare poi in ambito ambientale, senza incidere drasticamente sul rilancio dell’economia.

Né la ripresa né la creazione di occupazione sono però imminenti del quadro macroeconomico presentato dal governo. “Abbiamo un futuro migliore rispetto a un anno fa”, ha voluto ribadire più volte il ministro dell’Economia. Ma l’analisi fatta dalla Moncloa a breve termine sembra più realistica. E purtroppo ancora parecchio incerta.

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