In questa stagione i lavori del giardino e dell’orto bussano ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte alla mia testa: c’è da potare, concimare, zappare, piantare l’insalata e i pomodori, seminare. Ci sono le erbacce da togliere sotto le peonie, mie preferite insieme alle rose e tenere pulita la siepe che corre intorno al prato. Non ho molto tempo per fare tutto questo. Così i giorni di festa mi aiuta una donna di 41 anni, forte e bassa, con i capelli corti e il volto simile a quello di un pugile. Viene da un paese povero, dove lo stipendio medio è di 100 euro al mese e un chilo di pane costa due euro, come da noi. Mi aiuta in giardino perché le piace più di ogni altro lavoro. Viene da una famiglia di contadini ed è cresciuta tra una mucca, le galline, le oche, un cavallo, un aratro e campi di mais. A casa sua si produce il formaggio in casa, si porta il grano a macinare al mulino e si coltiva tutto quello che serve per dar da mangiare agli animali. Una vita dura e faticosa, che però a lei manca. L’altro giorno, in una tregua della pioggia, mentre toglievamo le erbacce dalle sette peonie piene di boccioli mi ha detto: “E’ inutile tutto questo lavoro intorno a una pianta che non serve. Siamo qui da un’ora solo per dei fiori. Da noi questo non si fa”. La prima risposta che mi è venuta è stata: “ma quando tra poco sarà tutto fiorito allora la bellezza ci renderà migliori e di buon umore”. Subito mi sono resa conto di come fosse per lei incomprensibile la mia risposta e abbiamo continuato a lavorare nel silenzio ancora umido di pioggia senza più parlare. In fondo, pensavo, ha ragione. Ma non ero convinta.

Questa premessa serve per capire perché la sera, mentre leggevo un articolo dedicato a Il piccolo principe di Antoine Saint-Exupéry, qualcosa in me si è illuminato.

L’articolo a firma di Cesare Fiumi è uscito su “Sette” per commemorare i settanta anni della pubblicazione de Il piccolo principe, uscito negli Stati Unitiil 6 aprile 1943 da Reynal & Hitchcock in inglese, e qualche giorno dopo in francese da Gallimard. Nell’articolo si cita una lettera (che potete ascoltare in francese recitata magnificamente sul sito scritta da Saint-Exupéry il giorno prima di compiere il suo ultimo fatale volo, il 30 luglio del 1944, e indirizzata a Pierre Dalloz, partigiano, alpinista, scrittore, architetto e suo grande amico. Scrive lo scrittore-aviatore: “Sotto la minaccia della guerra, sono più nudo e più spoglio che mai. Assolutamente puro. L’altro giorno mi hanno sorpreso due caccia. Sono fuggito appena in tempo (…) Ma che solitudine spirituale. Se verrò abbattuto, non rimpiangerò assolutamente niente. Il termitaio futuro mi spaventa (…). Io, io ero fatto per essere un giardiniere”. Una lettera carica di premonizione e che ha alimentato la leggenda intorno alla scomparsa del suo aereo da ricognizione, ora sfatata da Horst Ripper di 91 anni, l’ex-pilota del Luftwaffe che abbatté l’aereo di Saint-Exupèry nei cieli di Marsiglia il 31 luglio del 1944. Ripper ha incontrato il nipote dello scrittore in occasione della mostra che si svolge in questi giorni a Parigi dedicata ai settant’anni de Il piccolo principe. Ma questa notizia non mi emoziona.

Invece mi colpisce quel “io ero fatto per essere giardiniere”, così apparentemente in contraddizione con l’uomo dei cieli, con il “pilota più vecchio del mondo”, (come si definisce lui stesso nella lettera citata sopra), con l’uomo in prima linea, pieno di coraggio e di passione per la libertà. Sono andata a riprendermi Il piccolo principe, che avevo letto nell’adolescenza. Lì ho trovato l’unica risposta che avrei potuto dare alla mia aiutante e a me stessa.

Il piccolo principe, prima di cadere sulla Terra, nel deserto dove incontrerà l’aviatore, vaga per diversi pianeti, ognuno governato da un personaggio pronto a dare risposte intorno ai grandi quesiti di cui trabocca la sua mente pura. Sul sesto pianeta incontra il geografo. L’uomo se ne sta alla scrivania e aspetta che qualche esploratore vada a raccontargli come è fatto il mondo per poterlo poi scrivere nel suo grande libro (sembra la parabola del cattivo politico che non va mai a verificare con i propri occhi come vive la gente nella realtà). Il piccolo principe parla del suo asteroide B612 (è buffo che il numero sei ritorni nel libro tante volte, sicuramente qualcuno ha fatto lunghe e laboriose ricerche per dare una risposta) e dopo aver citato i tre vulcani dice: “Ho anche un fiore”.

“Noi non annotiamo i fiori”, risponde il geografo.

“Perché? Sono la cosa più bella”

“Perché i fiori sono effimeri”.

“Che vuol dire effimero?”.

Intorno a questa parola si gioca la risposta che cercavo, vera e viva.

Il geografo sollecitato risponde “Vuol dire che è minacciato di scomparire in un tempo breve”.

A quel punto il piccolo principe ha l’impellente desiderio di tornare dalla sua rosa per proteggerla, ma seguirà il consiglio del geografo e, prima di tornare al suo asteroide, al piccolo mondo dove regna il suo fiore, farà una tappa sulla Terra.

Ecco cosa fa un giardiniere: difende i fiori e ribadisce l’importanza del loro essere belli e splendenti solo per qualche breve istante. Quando l’essere umano riesce a emanciparsi dalla miseria può alimentare in sé e fuori di sé quella preziosa arma di riscatto, di felicità, di energia che è la bellezza. Questa rimane uno dei carburanti essenziali che ci spinge a cambiare, a migliorare, a uscire dal nostro cieco bozzolo egoista e a sorvolare i cieli, fitti di aerei nemici, in cerca della libertà.

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