Le elezioni del parlamento italiano le abbiamo avute alla fine di febbraio. Da allora, non abbiamo ancora un vero governo. In compenso abbiamo dieci saggi. Pronti pronti per entrare in un ricovero per anziani.
Ieri abbiamo avuto le elezioni del Presidente della Repubblica e così mi sono accomodato sul divano in attesa dell’esito della (sesta) votazione, in diretta da Montecitorio.

In realtà l’esito lo conoscevo già, come tutti d’altra parte: giunta la notizia dell’accordo Pd e Pdl sul nome di Napolitano era evidente il successo che avrebbe ottenuto il grande inciucio.

Fuori da Montecitorio c’erano tanti cittadini che manifestavano democraticamente il proprio dissenso, mentre dentro si compiva l’ennesimo scempio. Volevo comunque credere all’elezione di Rodotà. Con lui come Presidente avremmo potuto sperare di risollevare le sorti del nostro paese.

Ho provato delusione mista a rabbia, quando ho visto il volto soddisfatto di Bersani e di Berlusconi dopo la proclamazione del nuovo, si fa per dire, Presidente: pericolo scampato, devono aver pensato entrambi. Ora provo una grande tristezza per questo paese che non intravede un barlume di speranza, e per noi cittadini che ogni giorno assistiamo impotenti alla lenta agonia della democrazia.

Dovremmo fare armi e bagagli ed emigrare? Meglio di no. A questo punto è meglio rimanere qua a fare la nostra rivoluzione culturale.

Piero Calamandrei diceva: “una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”.

 

 

 

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