nick cave

È uscito “Push the sky away”, il quindicesimo album di studio di Nick Cave! Intendiamoci, non è una notizia fresca di giornata, il disco è comparso sugli scaffali un paio di mesi fa.

Ora, lungi dal considerare la possibilità di analizzare le canzoni, “la sacralità” di certe recensioni è direttamente proporzionale “alla noia” che ne deriva; come dice Cristiano Godano, “l’abilità del parlare di musica” spesso cozza con “Parametri estetici assai poco indicativi” ergo molliamo l’album! Tanto è bellissimo, inutile aggiungere altro. Piuttosto, ricaviamoci un piccolo pertugio nel quale gettare impressioni e perché no? Fare anche del sano cicaleccio!

Focus dunque sulla vita e sulla carriera di Re Inkiostro, cominciando ovviamente dalle indiscrezioni; la sregolatezza di certe abitudini non passa inosservata: “Sesso, droga e rock and roll!” E cosa vi aspettavate? Mica stiamo parlando del bottegaio all’angolo ma di una rock star fatta e finita! Soprattutto “fatta” e solamente in parte “finita”: la carriera rimane “di nicchia”, la gloria resta ai margini e coincide con la piena maturità ma soprattutto con la redenzione “Nel Nome del Signore”.

Ecco, prima di recitare Il Padre Nostro, facciamo un passo indietro e torniamo ai giorni della dannazione cui “Nicola Caverna” pare votarsi senza alcuna reticenza. Una generosità inaudita la sua, innanzitutto nei confronti dell’eroina. Il ragazzo rischia grosso e per sua stessa ammissione ne combina di tutti i colori. Nel 1989 “viene beccato” per detenzione; i cliché del caso – per essere rispettati, devono prevedere la resurrezione, cosa che avviene puntuale “e non a Pasqua” – come ogni fan vorrebbe credere –  ma in un periodo non meglio definito nel ’91, in una clinica ad hoc.

Ecco, prima di recitare la parabola della pecora smarrita, facciamo un ulteriore passo indietro; ancor più dipendenza la creano le donne. E qui vale la pena soffermarsi.

Le evoluzioni sentimentali del Nostro non solo accendono fantasie smodate nelle groupies più incallite ma definiscono senza mezzi termini le traiettorie rutilanti della poetica che lo caratterizza. Nick scherza col fuoco, s’innamora perdutamente “di donne fatali”: le liriche di alcuni testi sono veri e propri atti incendiari, conseguiti “a fine rogo”, quando a restare non sono nemmeno “gli occhi per piangere”.

“Fuoco cammina con me”– qualcuno diceva – e allora si scopre che sotto la cenere arde la passione per Anita Lane. Lei è “From her to eternity”, ovvero colei che ha condiviso “gli anni ruggenti”, quelli in cui si consumano – tra le altre cose – le prime incarnazioni musicali: Boys Next Door e Birthday Party. Ma la dannazione – è risaputo – abita i territori sconfinati dell’inquietudine; la Lane maledirà il giorno in cui lo conobbe, tuttavia “si farà riciclare” come uno dei membri fondatori dei “semi cattivi”.

 “Certe pulsioni” trovano ristoro nella figura di Tori Amos. Inkiostro pare le dedichi Green Eyes, “macchiando indelebilmente” ricordi a lei connessi. “In un’intervista scintillante” riferisce curiose abitudini della cantante, ancora oggi “voyeur” di ogni età “stanno a ringraziare”.

Le conquiste si consumano spesso in ambito musicale, da Kilye MinoguePj Harvey, un carnet piuttosto ricco, sovraccaricato – se vogliamo – dal peso di due matrimoni  e da quattro figli, poco male! La redenzione per Nick Cave avviene come detto “Nel Nome del Signore” ma ai giorni nostri fa riferimento al volto diafano di Susie Blick, l’attuale moglie, con la quale pare viva in una house boat attraccata nel porto di Brighton.

Ma il gossip non è tutto, non siamo su novella 2000! Si dovrà pur fare riferimento alla musica, se non ai dischi che concepisce a quelli che lo ispirano o magari ai loro mentori. Cave, è risaputo, adora Johnny Cash ma la passione è multiforme e vira a 360 gradi: da Johnny Lee Hoker a Leonard Cohen, passando per Tim Buckley e Jaques Brel. E lasciamo stare la storia secondo cui Tom Waits sarebbe uno dei suoi maestri, tra i due, scorre sottile l’indifferenza, ciò nonostante trovano nel blues radici comuni; si aggiunga pure che le origini di Cave riportano ai suoni crepuscolari di matrice post punk e le differenze sono compiute.

A tal proposito, l’incontro con Blixa Bargeld – leader degli Einsturzende Neubauten – nel 1981 è una vera e propria folgorazione, i Bad Seeds devono al genio tedesco (e a Mick Harvey) un grosso debito di riconoscenza. Tornando “alla diatriba” con Waits, non risultano omaggi pubblici alla sua musica; non si può certo dire lo stesso dell’artista di Pomona. Si faccia riferimento all’ultimo album (Bad As Me), più precisamente alla traccia numero due: le similitudini con alcune modalità riconducibili ai Bad Seeds sono inequivocabili.

Di fatto Nick Cave and the Bad Seeds sono una band in continua mutazione. Warren Ellis ha sostituito Blixa e Mick Harvey se n’è andato e, di ritorno, c’è Barry Adamson. Cambiano i protagonisti ma la cifra stilistica fa riferimento comunque alla qualità, per altro riscontrabile tra poco in tour, a Lucca in luglio e in autunno in svariate piazze d’Italia.

Che altro resta? Un ultimo pettegolezzo, il solito dj qualunque rammenta di essersi ritrovato assieme all’amico di sempre ad una cena con i Bad Seeds al completo, i Marlene Kuntz e tanto per fare numero, Tilda Swinton: una serata indimenticabile che, per essere raccontata, meriterebbe spazio e allora forse, non basterebbero – a questa gola profonda – le pagine totali di un giornale come novella 2000.

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