Più osservi Pierluigi Bersani nella corsa per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e più ti convinci che pure sul suicidio aveva ragione Voltaire. “Non che ammazzarsi sia sempre follia” scriveva nel ‘700 il filosofo francese, “Ma in genere non è in un eccesso di ragione che ci si toglie la vita”.

E così ha fatto anche il futuro ex segretario del (futuro ex?) Pd. Sprezzante della logica, delle richieste degli elettori (i suoi) e di un pezzo importante del partito, Bersani ha scelto la strada dell’accordo con Silvio Berlusconi e si è schiantato.

Ora però gli resta un problema. Il Pd è duro a morire. Il sostegno al governo Monti, la non sua non campagna elettorale – con conseguente disastroso risultato nelle urne – e la “bella sorpresa” della candidatura al Colle di Franco Marini, non sono bastate al segretario per dare il colpo di grazia ai democratici. Dalle parti del Pd c’è ancora vita. Non si per quanto, ma il caro estinto non è ancora tale. E anzi basterebbe poco per rivitalizzarlo e tentare di rivitalizzare con lui il Paese.

Ma Bersani non sembra capacitarsi di dover trapassare da solo. E da vero e coriaceo leader, per rassicurare tutti, dice: “Riuniremo l’assemblea dei grandi elettori, vedrete che una soluzione si troverà”.

Non ne dubitiamo. Il fatto è però che una soluzione non va trovata, perché c’è già. E si chiama Stefano Rodotà.

Capirlo non è difficile e dovrebbe arrivarci anche un futuro ex segretario in apparente stato confusionale. Rodotà è stimato dagli elettori di centro sinistra, è invocato a gran voce dalla base, è un giurista di caratura internazionale, ha insegnato nelle università di mezzo mondo (dalla Sorbona a Stanford), ha un lontano passato di politico – spesso critico nei confronti dell’apparato – e per la gioia della maggioranza dei piddini  è stato addirittura presidente del Pds. Certo è molto anziano, ma visto che Bersani aveva detto di sì a Marini, non si capisce perché per lui ora la cosa possa costituire un problema.

Non basta. Il Partito Democratico, nelle prime due votazioni per il Colle, si è pure reso conto che Rodotà, di suo, ha più di 200 grandi elettori (M5S e Sel). Per farlo salire al Quirinale, visto che il Pd di voti ne ha quasi 500, ci vuole davvero poco. E subito dopo, Beppe Grillo lo ha detto pubblicamente martedì 16 aprile, il dialogo per far partire un governo comincerà.

Insomma, qui è la ragione che dovrebbe spingere Bersani e i suoi a votare Rodotà. A questo punto qualunque altra scelta (a partire da Massimo D’Alema, che tanto piace a Berlusconi, fino a Piero Grasso o Sabino Cassese) non può più essere giustificata con l’intelletto

Per questo, se il segretario nelle prossime ore muoverà altri passi verso l’assassinio del suo partito, o ammette di essere uno stupido, o annuncia finalmente agli elettori che c’è qualcosa che non sanno. Che tra i vertici del Pd (nelle loro varie forme) e quelli del Pdl (nella loro unica forma) c’è almeno un patto, un ricatto, un accordo magari ventennnale. Un qualcosa che possa rendere, non diciamo accettabile, ma almeno ragionevole questa follia.

Ps: Nella mattina di venerdì 19 aprile il Pd, su indicazione di Bersani, ha stabilito che il suo nuovo candidato alla Presidenza della Repubblica è Romano Prodi.  Chi scrive, al contrario di molti italiani, ha un’opinione sostanzialmente positiva sul Professore e pensa che la sua caratura internazionale – è stato presidente della Commissione Europea – possa essere utile al Paese negli anni a venire. Detto questo la sua candidatura continua a sfuggire ai principi della logica. Fino a ieri Bersani diceva di volersi muoversi, per quanto riguardava il governo, lungo la strada del cambiamento e, per quanto riguardava il Quirinale, lungo quella della condivisione. Ora è evidente per tutti che Prodi non ha nessuno di questi due requisiti.

Il  nome di Prodi divide. Non solo i partiti, ma pure i cittadini. Il centrodestra non lo può soffrire (è stato l’unico a battere per due volte Silvio Berlusconi). Una parte importante del Movimento 5 Stelle, che lo ha votato solo all’ottavo posto alle Quirinarie, lo considera uno dei responsabili dell’attuale crisi economica: un rappresentante del sistema che gli attivisti M5s vogliono mutare. L’eventuale elezione di Prodi sarà quindi sofferta, come dimostra la decisione dei Montiani di votare nella terza chiama  Annamaria Cancellieri. Probabilmente, se Prodi ce la farà a sedersi sul Colle, sarà solo alla quinta votazione, quando gli eletti del movimento di Grillo decideranno nuovamente cosa fare.  

Il Professore pedala insomma in salita.  Bersani e il Pd , lo sanno, ma  accettano il rischio di bruciare subito anche il suo nome. E continuano a non spiegare il loro no a Rodotà, l’unico candidato che a maggioranza semplice, a partire dalla quarta chiama, può essere eletto a colpo sicuro.

 Scriveva il grande poeta greco Euripide: “Gli Dei rendono pazzi coloro i quali vogliono perdere”.  Buona fortuna Italia.    

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