Ricevo segnalazioni allarmate di comitati che si costituiscono sui territori riguardo al proliferare di richieste di trivellazioni per giacimenti di petrolio e gas. Da dove viene questa frenesia per un ritorno ai fossili inaspettata e un po’ “vintage”?

Questo è un lascito poco noto del governo Monti, che a ottobre aveva presentato una ricerca McKinsey con l’aspirazione di dar vita ad un dibattito pubblico per varare la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN). Dibattito? Al più qualche nota di scambio tra specialisti fino a dicembre, una revisione marginale del testo iniziale nel chiuso degli uffici (dove è finita l’annunciata Conferenza Nazionale sull’energia?) e, per concludere, un governo dimissionario e in carica solo per l’ordinaria amministrazione che si è arrogato il diritto di completare un atto strategico. Travalicando così le proprie competenze e senza coinvolgere il Parlamento (ormai sciolto) né nessuno degli interlocutori per dare trasparenza agli esiti della “consultazione”.

Quali gli effetti della nuova SEN, varata con un decreto interministeriale dai ministri Passera e Clini? Togliere il sostegno pubblico (dei consumatori) alle rinnovabili per darlo alla costruzione dei rigassificatori e concedere licenze facili alle trivelle su mare e su terra, togliendo l’ultima parola alle autonomie locali. Sussidi inaspettati e pagati dai cittadini, che si andrebbero ad aggiungere – senza scandalo questa volta dei censori del fotovoltaico incentivato – alle centinaia di milioni che vengono reperite in bolletta e distribuite ogni anno alle cosiddette “fonti energetiche assimilate” CIP 6, alle centrali a olio combustibile dell’Enel e per la dismissione ormai trentennale del nucleare. Insomma, un altro favore fatto alle lobby fossili: mantenere stabile la quota di carbone.

Una strategia non certo di de-carbonizzazione, bensì atta a contrastare l’impetuosa crescita delle fonti di energia pulita in un sistema che punterà, secondo gli estensori del documento, ad essere caratterizzato da uno “sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi” e a diventare “il principale hub sud-europeo del gas”.

Quindi, via con le trivelle offshore nel Canale di Sicilia (contrastate dalla Giunta Crocetta) e in Adriatico ad Ombrina Mare, dove si è svolta una manifestazione sabato 13 aprile. Così come il proliferare di richieste su terraferma, a partire dalla Lombardia, in un silenzio che è necessario rompere. Ancora: cinque territori già coperti da sonde e delimitati da recinti nel mantovano-cremonese e nei comuni attorno a Milano e lungo l’alveo degli affluenti del Po.

La Mac Oil SpA – una società con sede legale a Roma, fondata nel 2007 e controllata dall’americana Petrocorp Inc. con esperienze di estrazione di shale gas – sta ricercando idrocarburi in una vasta area, comprendente ben 37 comuni in 5 diverse province (Bergamo, Cremona, Lodi, Monza Brianza e Milano). Nell’area sono compresi il Parco Alto Martesana, il Parco del Rio Vallone, una parte del Parco del Molgora e i Parchi regionali Adda Sud e Nord. Addirittura, per il campo di Malossa – il più profondo d’Europa, ubicato in riva all’Adda – spunta un progetto pilota per lo stoccaggio sotterraneo di CO2, proposto dal gruppo Techint.

Intanto ENEL cerca di evitare la procedura di VIA per un’istanza di permesso molto generica denominato “Cascina Graziosa” per la ricerca di idrocarburi “non convenzionali”, che investe un’ampia area di 592,5 Kmq e coinvolge oltre cinquanta comuni nelle provincie di Pavia, Milano, Novara e Varese che hanno come comune denominatore la valle del fiume Ticino. La Mac Oil, già citata, si ripete con richieste di prospezione fra i laghi delle Prealpi, interessando quarantuno Comuni in un’area di 212,8 Kmq compresa in un rettangolo fra Viggiù, Venegono Superiore, Crosio della Valle e Cocquio Trevisago (Cartabbia).

Capisco che decenni di Lega-Formigoni e la rielezione di Maroni facciano pensare alla Lombardia come una zona franca per le scorribande ambientali. Ma sarebbe il caso che si mobilitino i cittadini e i consigli comunali per salvaguardare territori e risorse idriche già devastate in lungo e in largo.

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