Violenza e maltrattamento. Quanto ci vogliamo tenere lontani da questi termini! Quanto è importante mantenere una distanza tra noi e loro: gli uomini che picchiano, che utilizzano la forza per fare male!

“No, io sono diverso, non sono come quegli uomini che ogni due o tre giorni uccidono una donna. Certo capita di litigare con la mia compagna, anche perché lei è brava a provocare, è una donna problematica, ha un passato difficile e io posso capirla per questo. E’ vero, qualche volta è successo che uno schiaffo o uno spintone da parte mia ci siano stati, non lo nascondo, ho sbagliato. D’altronde lei non è che sia sempre e solo vittima, reagisce, anzi non è raro che sia lei ad iniziare ad aggredirmi fisicamente e io mi devo pur difendere. Altre volte me le toglie dalle mani, ma non sono violento.”

In modo molto semplificato, questo è quello che ascolto da alcuni uomini che si rivolgono al Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti (CAM) di Firenze.

Le statistiche ci dicono che tre donne su dieci subiscono una qualche forma di violenza da parte di uomini e, grosso modo, ci saranno tre uomini che questa violenza la agiranno. Le statistiche non tengono conto del sommerso, di tutto quello che succede all’interno delle mura domestiche e che da lì non è mai uscito e mai uscirà ed è facilmente ipotizzabile che i dati non conosciuti siano molto consistenti.

Pensare a tre decimi della popolazione maschile violenta non è facile, figurarsi immaginarne la metà o anche di più. Le resistenze ci sono e sono, a mio avviso, ben comprensibili. Come già scritto nel mio articolo “La violenza delle donne”, al quale rimando per un chiarimento più ampio sulle mie posizioni, parlare della violenza maschile non vuole negare l’esistenza della violenza femminile e quindi non voglio qui escluderla da alcune delle considerazioni che faccio.

D’altronde il maltrattamento è ben lungi da essere una malattia così come ben lungi dall’essere sbagliati sono i sentimenti alla base del suo nascere, è la cattiva gestione di questi ultimi che provoca un comportamento inaccettabile e lesivo.

Dopo oltre tre anni di lavoro al CAM  la tematica della violenza continua ad avere per me aspetti sempre più coinvolgenti e di ampio respiro, mi rendo conto di quanto essa pervada la società e di come tutti, uomini e donne, siamo a rischio di agire e subire comportamenti maltrattanti, nonostante chi legga queste righe possa sentirsene totalmente esente, questo perché non siamo abituati a chiamare la violenza con il suo nome, questa parola ci evoca immaginari in cui fatichiamo a riconoscerci, è carica di negatività, ma purtroppo anche di atteggiamenti e comportamenti più comuni di quanto si sia disposti ad accettare senza battere ciglio.

Se, per ipotesi, entrassi in una stanza occupata da svariati genitori e chiedessi loro, dando per certa la buona fede e la veridicità delle risposte, se sono presenti delle persone violente non so quanti alzerebbero la mano, ipotizzo pochi, forse nessuno, ma se, subito dopo, chiedessi se qualcuno ha mai tirato uno schiaffo al proprio figlio ritengo probabile che si alzerebbero molte più mani.

Dare uno schiaffo al proprio figlio non è violenza? Si, lo è senza ombra di dubbio, ma i meccanismi di giustificazione sono così ben rodati al riguardo che il gesto non viene considerato per ciò che è realmente. Si pensa: lo fanno in molti, è una cosa abbastanza comune, magari non piacevole, ma, a volte, non se ne può fare a meno, un paio di ceffoni non hanno danneggiato mai nessun bambino (bisognerebbe chiedere al bambino prima che diventi adulto magari). Nel peggiore dei casi si può sostenere che l’utilizzo della forza ha uno scopo educativo, quando le parole falliscono o si ha troppa fretta o poca pazienza per cercarle, quindi pienamente giustificato. Magari anche i nostri genitori lo hanno fatto e noi siamo “cresciuti bene” tutto sommato, sarà lo stesso per i nostri figli che poi trasmetteranno lo stesso modello genitoriale ai loro.

La violenza intesa con intento educativo è un concetto che considero aberrante, ma che è fin troppo comune e “normalizzato”.

Finché riteniamo violento e quindi degno del nostro biasimo e della nostra esplicita condanna solo l’atto estremo ed eclatante o che ha, in modo evidente ed innegabile, danneggiato una persona, è facile giustificare lo schiaffo o lo spintone o quant’altro che ha recato “un danno contenuto” o invisibile alla propria immediata percezione (nell’ambito della violenza psicologica poi il tutto diventa ancora più complicato naturalmente).

Privare della vita un uomo o una donna è probabilmente il gesto violento più estremo, questo però non ci deve spingere a sottovalutare tutto quello che c’è stato prima dell’uccisione e tutto quello che ci può essere senza che si arrivi all’uccisione. Non c’è solo la deprivazione fisica della vita, dalla quale purtroppo non si può tornare indietro, nelle violenze domestiche molte donne cessano di vivere ben prima di esalare l’ultimo respiro vuoi per mano sua, vuoi per morte naturale. Una vita sotto minacce, paure e percosse non è vita.

Nello stesso tempo è pericoloso immaginare una sorta di divisione tra una violenza di serie A e una violenza di serie B, tra una violenza che non possiamo tollerare e una che invece possiamo tollerare ed edulcolorare.

L’aggressività fa parte della natura umana e continuerà a farne parte, dire che siamo tutti violenti sarebbe fuorviante ma sicuramente, ripeto, siamo tutti a rischio di agire e subire dei comportamenti maltrattanti. Solo il prenderne consapevolezza può aiutarci ad esprimere i nostri bisogni senza calpestare quelli altrui.

Mario De Maglie

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