La Banca centrale del Giappone ha annunciato un radicale cambio di regime nella propria condotta. Non è una semplice manovra di politica espansiva, è il tentativo di uscire dalla trappola deflazionistica. Sul suo successo non mancano i dubbi. Come risponderanno la Fed e la Banca centrale europea?
di lavoce.info, 8 Aprile 2013

Cambio di regime

La politica monetaria vive tempi eccezionali. Con l’insediamento del nuovo governatore, la Banca centrale del Giappone (BoJ) ha annunciato un radicale cambio di regime nella propria condotta, basato su tre pilastri. Primo, inflation targeting: un obiettivo numerico del 2 per cento di inflazione (da perseguire “nel più breve tempo possibile”). Secondo, quantitative easing: un’espansione (entro la fine del 2014) del 100 per cento della base monetaria. (1) Terzo, qualitative easing: una ricomposizione del mix di acquisto di titoli in favore di titoli più rischiosi. Considerando l’orizzonte breve in cui verrà attuato, si tratta, potenzialmente, del più ampio esperimento di espansione della quantità di moneta nella storia economica dei paesi sviluppati.
Interpretazioni frettolose descrivono il cambio di regime monetario come una semplice manovra di politica espansiva, volta a stimolare l’economia. Come tale, da mettere in contrasto con il presunto vizio di austerity di cui sarebbe vittima la politica economica (monetaria e fiscale) in Europa. Credo invece che il nuovo regime di BoJ si possa comprendere solo a partire dal concetto di trappola deflazionistica.

Livello zero per i tassi di interesse

Supponiamo che in una economia si diffonda l’aspettativa di una caduta futura della produzione e del reddito (si noti, solo l’aspettativa). A sua volta, ciò genera l’aspettativa di un futuro calo dei prezzi (deflazione attesa). In condizioni normali, la politica monetaria reagisce ad aspettative di deflazione abbassando il tasso di interesse nominale in modo più che proporzionale, per indurre una caduta del tasso reale (la differenza tra tasso nominale e aspettative di inflazione). La caduta del tasso reale è stabilizzante, nel senso che stimola consumi e investimenti e quindi neutralizza l’iniziale pessimismo sull’attività economica futura.
Supponiamo invece che abbassare il tasso nominale non sia possibile, perché ha già raggiunto il limite inferiore di zero, come in Giappone da circa dieci anni, e negli Usa da tre. In questa situazione, deflazione attesa causa un aumento (e non una diminuzione) dei tassi reali. Tassi reali più alti scoraggiano consumi e investimenti, ratificando ex-post proprio quelle aspettative pessimistiche iniziali da cui è partito il ragionamento.
In breve, quando i tassi nominali sono al limite inferiore di zero, aspettative di deflazione si auto-realizzano, generando una stagnazione prolungata nel tempo di redditi e consumi. La cosa peggiore è che la stagnazione si autoalimenta. Ecco perché è una trappola. Con l’annunciato cambio di regime, la BoJ cerca, in modo vigoroso, proprio di invertire il segno delle aspettative sull’andamento dei prezzi: di passare, cioè, da deflazione attesa a inflazione attesa. Proprio per interrompere definitivamente il circolo vizioso della trappola deflazionistica.

Trappole deflazionistiche sono quindi possibili solo quando un’economia raggiunge il vincolo dei tassi a zero. Perché, allora, una banca centrale decide di arrivarci a tassi zero? Non è un errore madornale di politica monetaria? Alcuni critici spesso argomentano contro l’idea stessa di portare i tassi d’interesse a zero. Generalmente appartengono alla scuola di coloro che ritengono che tassi di interesse “troppo bassi” inducono cosiddette “bolle speculative”.

Come per qualsiasi prezzo di mercato, in realtà, definire i tassi di interesse troppo bassi (o troppo alti) non ha alcun senso. Troppo bassi (o alti) rispetto a quale riferimento? Esistono ottime ragioni per pensare che sia in Giappone come negli Stati Uniti (e in Europa) i tassi di interesse, seppur a livello zero, siano in realtà ancora troppo alti, anziché troppo bassi. Questo perché le economie sviluppate, dopo lo shock della crisi del 2007-08, aggravata dalla crisi dell’euro, necessiterebbero in realtà di tassi di interesse nominali fortemente negativi. Poiché ciò non è tecnicamente possibile, tassi a zero continuano, in molti paesi, a essere tuttora troppo elevati. Per altro, tassi nominali a zero per ben dieci anni non hanno alimentato nuove bolle speculative o crisi finanziarie in Giappone.
Il punto quindi non è perché si sia raggiunto il limite inferiore dei tassi a zero. Ciò che li spinge a zero può essere (come per la Fed tra il 2007 e il 2008) il normale tentativo di una banca centrale di rispondere a un iniziale forte shock recessivo. Così forte che necessita, per contrastarlo, di tassi di interesse tanto bassi da diventare negativi. Il punto chiave è che quando l’economia raggiunge questa situazione, il pessimismo sulle condizioni economiche future si auto-realizza. Perciò una trappola deflazionistica è la ragione centrale della persistenza della recessione, non della sua insorgenza iniziale.

Dubbi sul successo dell’esperimento

L’esperimento della BoJ è di grande interesse. Una specie di esperimento naturale di teoria monetaria. È destinato ad avere successo? Ho alcuni dubbi, per almeno quatto ragioni.
Primo, per incidere sulle aspettative di deflazione (o inflazione) bisogna essere credibili. Non è del tutto chiaro, per ora, se il nuovo regime di inflation targeting di BoJ sia da considerarsi un nuovo regime stabile, oppure solo un obiettivo transitorio.
Secondo, semplici nozioni di teoria monetaria ci insegnano che, per indurre un incremento stabile del livello dei prezzi, un aumento della quantità di moneta deve essere permanente. È credibile che un aumento del 100 per cento della base monetaria in un orizzonte di un anno e mezzo rimanga permanente?
Terzo, è plausibile supporre che l’effetto sui prezzi di espansioni della quantità moneta dipendano dallo stato dell’economia. Sono facilmente e velocemente inflattive quando l’economia va bene, ma faticano a esserlo quando l’economia è in stagnazione. Questo perché aumentare la base monetaria è solo una condizione necessaria perché maggiore quantità di moneta raggiunga il sistema economico. La banca centrale può anche raddoppiare la base monetaria espandendo le riserve bancarie, con acquisti di titoli, di Stato o non, come si appresta a fare la BoJ. Ma se le riserve monetarie continuano a rimanere tali, cioè sotto il materasso della banca centrale, il sistema economico fatica a ricevere credito, inducendo solo deboli impulsi alla domanda di investimenti e consumi, e quindi deboli impulsi ai prezzi. Anche questa è una manifestazione perversa della trappola.
Quarto, dalla metà del 2008 a oggi, con i diversi piani di quantitative easing, la Fed ha più che triplicato la base monetaria. Gli effetti sull’inflazione sono stati quasi nulli. È interessante notare che la Fed ha sempre difeso questa neutralità sull’inflazione come un punto di forza del proprio programma di acquisto di titoli. Un impatto forte sull’inflazione è invece quello che si aspetta BoJ, ma l’esperimento negli Usa lascia molti dubbi sul fatto che possa essere efficace.
C’è molto fermento nel mondo delle banche centrali. La BoJ sta probabilmente fissando nuovi “standard” di aggressività e creatività. Su questo piano, la Fed ha già dato prova di essere all’altezza. Con una disoccupazione sopra il 12 per cento, una continua contrazione del reddito nominale, una divergenza crescente nel costo di finanziamento delle imprese tra i diversi stati membri e una crisi del debito sovrano sempre alle porte, saprà esserlo anche la Bce?

(1) La base monetaria è l’aggregato monetario più ristretto, sotto diretto controllo della banca centrale, e comprensivo di circolante più riserve bancarie detenute presso la banca centrale stessa.

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