I recenti dati dell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire) lo confermano: è in aumento la “fuga” dall’Italia. Lo scorso anno l’emigrazione dalla penisola è passata dalle 60.635 unità del 2011 ai 78.941 del 2012. I dati avvalorano che sono innanzitutto i giovani a lasciare il Belpaese per cercare miglior fortuna all’estero: gli emigrati tra i 20 e i 40 anni sono aumentati in un anno del 28,3%.

Flussi che alimentano quella “fuga di cervelli” che Il Fatto Quotidiano vuole rappresentare con testimonianze dirette.

Se il Pil teutonico o il predominio culturale della lingua inglese sono attrattori irresistibili che collocano la Germania e la Gran Bretagna tra le prime destinazioni della nuova ondata migratoria, sorprende la posizione della Spagna che mantiene l’appeal malgrado la contrazione della sua economia.

Lo scorso anno i connazionali iscritti all’Aire erano quasi sessanta mila nella sola regione catalana.

Non è un caso che nel recinto comunale di Barcellona c’è un’altra città: la cosiddetta “piccola Barcellona”, la comunità degli italiani. Circa quindici mila quelli registrati, nella realtà stimati in quaranta mila, è la comunità straniera più numerosa anche secondo i dati delle autorità locali. Studenti, liberi professionisti, imprenditori che hanno preferito investire in Catalogna, nella locomotiva economica di un paese con molte contraddizioni. Una Spagna che non può prescindere dalla Catalogna per trovare soluzioni alla crisi mentre le spinte indipendentistiche fanno sentire una pressione mai vista prima. Con la Monarchia – istituzione collante dello Stato – che vacilla sotto i colpi di scandali familiari e di inchieste giudiziarie le quali, dopo aver colpito gli affini, hanno toccato anche i membri della famiglia reale.

Un paese dove lo stesso idioma è usato come arma politica. Il catalano compete con la lingua di Cervantes, mentre Wert, titolare del Dicastero di Educazione e Cultura, solo pochi mesi fa proponeva una discussa riforma che tendeva a ridurre le ore di lezione in lingua catalana a vantaggio del castigliano.

Nel mezzo delle dispute nazionaliste pullula la “piccola Barcellona”. Con i suoi ristoranti che tracciano un segno identitario, la locale camera di commercio italiana ne ha premiati dieci col “marchio d’ospitalità italiana”. Con i suoi blog divenuti strumento essenziale per comunicare i dati utili per un primo insediamento, e un sito web spaghettibcn che ha apertamente polemizzato col giornalista Riccardo Iacona per una puntata di Presa Diretta che ha fatto passare l’idea della capitale catalana come il luogo idilliaco dove “si trova lavoro dopo quattro giorni”. La regione autonoma, precisavano quelli di Spaghetti Bcn, conosce il precariato e negli ultimi anni ha registrato un numero di disoccupati che supera le 600.000 unità.

Intanto il numero di abitanti della “piccola Barcellona” continua a crescere. E a ritrovarsi nei baretti del barrio gotico dove la domenica pomeriggio ad un gol di Cavani o ad un rigore non concesso al Cagliari, corrisponde un urlo o un’imprecazione collettiva in italiano. È la domenica pomeriggio che capisci che, malgrado crisi e contrasti, Barcellona è di tutti. Aperta come una casa senza finestre che fa passare le correnti.

Il reportage della tv catalana: “Itàlia: més diferents del que sembla

 

Andrea Lupi e Pierluigi Morena 

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