Quando ho sentito questa registrazione telefonica ho pensato al terremoto dell’Aquila. Risate sulla pelle dei morti. Ma quelle dei due carabinieri su Giuseppe Uva, già cadavere, sono  precedenti a quelli della protezione civile. Eppure l’unico procedimento  avviato non è tanto sulla morte dell’uomo avvenuta a Varese il 14 giugno 2008quanto piuttosto sulla sorella che su Facebook ha insultato quegli uomini che ridevano del fratello che lei ha visto in un obitorio con un pannolone e 78 macchie di sangue a cavallo dei pantaloni.

In questo stesso blog Lucia ha scritto il suo appello, il 16 aprile a Varese, ci sarà una manifestazione di protesta per il magistrato, titolare dell’inchiesta che nelle sue conclusioni sul caso Uva ha scritto: “ La conclusione naturale di questa indagine doveva essere quindi la richiesta di archiviazione al competente Giudice, non emergendo ipotesi di reato di responsabilità oltre a quelle per le quali si è già proceduto a carico dei medici…”.

Poi ha smentito se stesso poche righe più avanti scrivendo: “Essendo quindi emerse ipotesi di reato a carico delle persone indicate in rubrica non si procede alla richiesta di archiviazione e si formalizza il presente avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’articolo 415bis”.

Le registrazioni che abbiamo sentito non sono state messe agli atti. Così come non è stato ascoltato Alberto Biggiogero condotto in caserma insieme all’amico Giuseppe Uva, e che ha sempre raccontato di aver sentito le grida atroci di Uva provenire dalla stanza dove era stato rinchiuso, tanto da chiamare dalla stessa caserma dei Carabinieri di Varese il centralino del 118 per chiedere un intervento. Circostanza che ha trovato piena conferma dalla registrazione della telefonata e dai successivi contatti del 118 con la caserma.

La famiglia Uva ha presentato richiesta di avocazione al procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano del procedimento penale (5509/09) della procura delle Repubblica di Varese.

E la storia continua…
 

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