Il sovraffollamento in carcere è un problema che non può essere risolto, se non temporaneamente, con un provvedimento di clemenza. Riguardo all’indulto del 2006 l’Istituto Cattaneo ha messo in luce, con un ottimo studio comparato corredato di dati statistici e tabelle esplicative, quel che chiunque operi all’interno di un Istituto penitenziario sapeva e sa benissimo: gli effetti riduttivi vengono riassorbiti nel giro di un paio d’anni se il provvedimento non è accompagnato da un ripensamento complessivo e una riforma organica dell’esecuzione della pena. Cioè se non cambiano le norme per via delle quali tanta gente finisce in galera.

Giova ripetere una volta di più che nel secondo dopoguerra, nel momento in cui veniva fondata la Repubblica, mancò il coraggio di accantonare definitivamente la legislazione precedente (e tutta la classe dirigente che avrebbe dovuto dare applicazione alla nuova Costituzione). Ancora oggi ci ritroviamo con un Codice civile del ‘42 e, peggio ancora, il Codice penale elaborato dal ministro Rocco nel 1930, in piena epoca fascista. È solo grazie alla giurisprudenza che ci si è potuti adeguare ai cambiamenti nel frattempo intervenuti nella società. La produzione legislativa ha seguito, non sempre tempestivamente, i più innovativi orientamenti giurisprudenziali.

Poi, negli ultimi 20 anni, l’intera materia della giustizia si è bloccata sui problemi personali (e a volte personalissimi) dei membri di una classe dirigente che è tra le più corrotte e disoneste del mondo occidentale. Tutti i governi che si sono succeduti, in prevalenza di destra ma con quelli della ‘soi disant’ sinistra in sostanziale sintonia, si sono lasciati ingaggiare in una devastante diatriba tra politica e magistratura. Si è scardinata la tradizionale distinzione tra “ordine e libertà” da una parte e “garantismo ed eguaglianza” dall’altra. Si è messo in discussione il senso stesso delle istituzioni. Per biechi calcoli viziati da miopia politica, non si sono affrontati i grandi temi e ci si è limitati a interventi parziali, condizionati da singole vicende processuali, con forzatura di procedure legate a precisi casi contingenti. L’effetto è stato di ingarbugliare le normative, espandere i livelli di giurisdizione, prolungare i tempi dei processi che vedono coinvolti imputati eccellenti. Con le aule di giustizia intasate, si arriva a sentenze sommarie a carico di diseredati e emarginati. La giustizia è sempre più diseguale, quindi profondamente ingiusta, forte con i deboli e debole con i forti.

Un caso emblematico è quello della legge che scaturì dalla proposta dell’on. Cirielli. Assecondando la peggior linea forcaiola della sua parte politica – espressione di un elettorato spaventato dall’escalation della micro-criminalità che un certo tipo di media infondeva ad arte –  si intendeva calare la scure in particolare su recidivi e delinquenti abituali. Il caso volle che nello stesso periodo si celebrasse uno dei tanti processi ai politici che hanno come unica via di fuga la prescrizione che giunge prima della condanna. In disprezzo con i più elementari principi della logica, la norma dell’accorciamento dei tempi di prescrizione di certi reati fu aggiunta al provvedimento all’esame delle Camere. Fu così che chi aveva ispirata la legge si tirò indietro e volle disconoscere quella che oggi si chiama ex Cirielli. Sarà per questo che oggi lo stesso deputato, inopinatamente rieletto tra le fila dei Fratelli d’Italia, cerca di restituire dignità al proprio nome firmando una proposta di legge per l’istituzione del Principato di Salerno(!).

Ma non è che uno dei tanti “ossimori normativi” degli ultimi anni, come quello della contemporanea discussione su processo breve (per tagliare le gambe a una incipiente sentenza negativa per gli imputati) e processo lungo (per prolungare il dibattimento fino alla agognata prescrizione).

Con la giustizia viviamo in una situazione di stallo che ricorda molto da vicino, per gravità e difficoltà di vedere vie d’uscita, la crisi che sta colpendo la nostra società dal punto di vista economico-finanziario, ambientale, morale, culturale. Con un atteggiamento cinico e spietato qualcuno potrebbe pensare di chiudere un occhio e fregarsene delle sorti umane di quasi 70 mila “delinquenti”, costretti a vivere in 10 inuna stanza, e delle loro famiglie, considerando il carcere come discarica sociale. Ma nessuno può essere indifferente di fronte alle sentenze di condanna inflitte al nostro paese dalle corti internazionali, che tra l’altro comportano esborsi di fondi dalle già precarie finanze pubbliche.

Oggi abbiamo un Parlamento nuovo che pare aver avviato un percorso di auto-rigenerazione. Possiamo augurarci che qualcuno voglia affrontare in maniera adeguata, cioè organica, tutto il discorso sulla riorganizzazione della giustizia, nella piena applicazione della normativa vigente e del dettato costituzionale che parla di pene non contrarie al senso di umanità e di reinserimento sociale dei condannati, nella speranza che non tornino a commettere nuovi reati. Offrire a chi saprà meritarsele opportunità di lavoro e in fondo di vita alternativa sarebbe un modo di indirizzare in maniera più efficace le spese della giustizia che, comunque, pesano nelle tasche di noi contribuenti.
 

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