Come si fa a scegliere un pezzo con cui ricordare Enzo Jannacci? L’irriverente genio della musica italiana ne ha lasciati fin troppi di capolavori e sicuramente le homepage di mezzo mondo saranno invase dai suoi pezzi. Qui vorrei ricordare qualcos’altro, anche perché forse a Enzo Jannacci non sarebbero piaciuti i coccodrilli o le sviolinate postume.

Mi ricordo ancora con dolore il tributo che Fabio Fazio gli regalò un paio di anni fa. C’era suo figlio Paolo, e tutti gli amici di sempre, da Paolo Rossi a Dario Fo, da Ornella Vanoni a Roberto Vecchioni, fu così commovente che spensi la tv. Non ce la facevo a vederlo respirare a stento e tenere le note a fatica. Era un maestro di leggerezza. E vorrei ricordarlo proprio con un “Ah, beh. Sì, beh“.

Dire tutto senza troppi giri di retorica. Con la forza dell’immaginazione. Ci portava negli angoli bui della società senza mai cadere nella trappola dell’attualità. Ecco perché le sue canzoni saranno sempre presenti, perché non lo sono state mai. Nel 1990 Giorgio Gaber e Enzo Jannacci portarono in scena al Teatro Goldoni di Venezia “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Jannacci era Estragone. Lo immagino così, a leggere tutte le nostre parole, i tweet, gli status, gli articoli, le interviste. Silenzio. Uno sguardo fugace a Gaber/Vladimiro e poi a voce piena: “Non succede niente, nessuno viene, nessuno va. E’ terribile“. 

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