Mentre la Serie A continua ad interrogarsi senza risultati sul proprio futuro, il cambiamento del calcio italiano parte dal basso. Seguendo l’esempio della Lega Pro (che giusto qualche mese fa ha varato la riforma dei suoi campionati), la Serie B ha votato all’unanimità un provvedimento rivoluzionario: il salary cap. Una scommessa con diverse incognite davanti a sé: il rischio di impoverire il livello qualitativo del campionato e di veder sempre più ampliato il divario dalla Serie A. Ma per Paolo Bedin, direttore generale della Lega Serie B, non c’erano alternative: “Questa riforma si basa su una constatazione anche banale nella sua gravità: il sistema calcio non funziona più, ha vissuto per decenni troppo al di sopra delle sue possibilità. E il salary cap è l’unico modo per risanarlo”.

Come si è arrivati ad adottare una misura così drastica?
In Serie B stiamo lavorando da tempo ad un piano di contenimento dei costi. A dire il vero un salary cap complessivo esiste già da tre anni, le società non possono spendere in stipendi più del 60% del loro fatturato. Così abbiamo ridotto i salari dei calciatori di circa il 20%. Ma ci siamo accorti che non era sufficiente. Per questo abbiamo deciso di abbinare al salary cap collettivo un salary cap individuale.

Avete scelto un tetto molto basso. Lo schiacciamento non sarà eccessivo?
E’ vero, ma il 70% dei calciatori di Serie B già oggi guadagnano meno della cifra da noi stabilita. Andremo a lavorare su quel 30% che vanta stipendi maggiori, a volte anche molto maggiori. Partendo però da un presupposto: semplicemente, il sistema non può più permetterseli. Se si prende atto di questa realtà tutto diventa più facile.

Come imporrete il salary cap?
Con lo strumento più efficace che abbiamo: i soldi. Le società che vogliono continuare a spendere di più potranno farlo. Ma chi sforerà i vincoli, rinuncerà al denaro della mutualità (i contributi che la Lega ogni anno destina ai club, e che oscillano tra i 3,5 e i 5,5 milioni di euro a squadra, nda) per un importo pari alla differenza rispetto al tetto salariale.

Così ingaggiare giocatori costosi costerà ancora di più…
Esatto. Ma saremo sicuri che certe cifre verranno spese solo da chi se le può veramente permettere. E questi presidenti più facoltosi lasceranno in Lega delle risorse che investiremo per creare un circolo virtuoso.

Quali sono i risultati che contate di ottenere?
Sono molteplici. Innanzitutto la diminuzione del costo salariale e una maggiore sostenibilità del campionato. Con i soldi di chi non rispetterà il tetto istituiremo un fondo da destinare a politiche giovanili e sociali. E gli stessi club, risparmiando sugli ingaggi, avranno risorse da investire altrove: penso ai vivai; ma anche alle infrastrutture, che sono davvero vergognose in Italia; e al marketing, che praticamente non esiste. Siamo indietro anni luce rispetto agli altri Paesi d’Europa: se i club non riescono a cambiare da soli è il momento di indicare loro la strada da percorrere.

Ci sono anche delle possibili controindicazioni. Non temete che il salary cap si traduca in un impoverimento qualitativo del campionato?
No, se la Serie B saprà diventare un campionato d’eccellenza di giovani talenti. Siamo convinti di poter proporre un calcio sempre più frizzante e accattivante per il pubblico.

Il provvedimento nasce per la tutela economica delle società. Ma con questi paletti molte squadre potrebbero avere problemi a rinnovare i contratti dei loro giocatori più rappresentativi. Ed essere costrette a svenderli…
E’ un’evenienza. Ma una squadra che retrocede dalla Serie A deve affrontare un ridimensionamento economico notevole. Ci sono problemi più gravi. Per questo anche le grandi squadre hanno votato con convinzione il salary cap: è un provvedimento che presenta degli inconvenienti, ma sul medio-lungo costringerà le squadre di questo campionato a vivere secondo le risorse di questo campionato. Basta con questa folle corsa all’indebitamento.

E i diretti interessati cosa ne pensano? Come hanno accolto i calciatori la riforma?
E’ giusto che anche i giocatori facciano una riflessione seria: il mondo del calcio va ripensato. E loro ne sono i protagonisti. Comunque devo dire che abbiamo trovato grande disponibilità e senso di responsabilità da parte di tutti. Anche l’Associazione Italiana Calciatori ha condiviso questo progetto: meglio avere meno soldi, ma garantiti. A che servono stipendi faraonici se poi le società non riescono a pagarli?

Il calcio italiano sembra finalmente essersi deciso a cambiare. E’ ipotizzabile aspettarsi qualcosa di analogo anche in Serie A?
Non saprei, è stato già difficile far passare questa linea all’interno della nostra Lega. E’ chiaro, l’auspicio sarebbe quello di un cambiamento complessivo. Ma i numeri che avevamo ci hanno spinto ad agire subito. Forse in Serie A hanno altre priorità. Guardiamo in casa nostra. Quando siamo nati avevamo una sola possibilità per sopravvivere: cambiare. Noi lo stiamo facendo.

Articolo Precedente

Londra, lo stadio olimpico da 600 milioni al West Ham per quattro soldi

next
Articolo Successivo

Calcio: vent’anni da Totti

next