Bologna sta entrando nel vivo di una una nuova campagna, non più elettorale, bensì referendaria. Questa volta cittadine e cittadini sono interpellati su un tema particolare, prioritario, importantissimo: la scuola.

Un gruppo di bolognesi, riuniti nel comitato Articolo 33, ha raccolto migliaia di firme e ha ottenuto che fosse indetto per il prossimo 26 maggio un referendum consultivo sul modello di finanziamento della scuola di infanzia. Si sceglie A se si ritiene che il Comune debba finanziare solo la scuola pubblica, B se si pensa che il Comune debba destinare  risorse (attualmente 1,2 milioni all’anno circa) anche alle scuole private paritarie.

Il tema è delicato, tutt’altro che ideologico come invece sostengono i detrattori della consultazione: tra i referendari ci sono mamme e papà che ogni anno lottano con le liste d’attesa per l’accesso dei figli nel sistema scolastico. Altroché ideologia
.  Nella consultazione si confrontano due modelli, due modi di concepire la scuola (come servizio o come diritto), due interpretazioni completamente diverse della Costituzione (la prima letterale e attenta, la seconda molto libera).  Ma c’è di più: abbiamo con questo referendum l’occasione preziosa di interrogarci su una parola chiave, sussidiarietà. Possiamo per una volta fermarci e domandarci se lo Stato possa essere sostituito in ciascuna delle sue funzioni (salute, scuola, servizi alla persona…) dal sistema privato o se piuttosto sia necessario stabilire un confine a questa delega, oppure alcuni distinguo, magari proprio quelli dettati dalla Carta costituzionale.

Possiamo chiederci anche quale sia il limite tra la sussidiarietà e la dismissione e quale la differenza tra un diritto e un servizio a richiesta. Ed è giusto farla ora questa riflessione: in un momento in cui si taglia di continuo, e dopo anni di continui tagli, è necessario fermarsi e chiedersi se si può tagliare ancora o se si è addirittura già tagliato troppo. La questione è urgente, indispensabile, inderogabile. Una domanda che gli amministratori stessi dovrebbero voler porsi, senza attendere che siano i cittadini a formularla.

Ma soprattutto con questo referendum possiamo per una volta metterci tutte e tutti  a confronto sull’idea di scuola, in maniera costruttiva e propositiva, parlando sì di sostenibilità ed economia ma senza ridurre tutto solo a questo. Perché la scuola è tanto altro, soprattutto: è la cura all’ignoranza, il luogo in cui si forma il senso di cittadinanza, l’anticamera di ogni società, dalla più semplice alla più complessa. 

L’idea che mi sono fatto fino ad oggi è che quest’occasione rischiamo di perderla se – come ha fatto il sindaco in questo giorni – cavalchiamo slogan del tipo: “Votate B come bambini”. Perché non può passare l’idea che chi sostiene l’altro modello voglia meno bene ai bambini, tenga meno al loro futuro o addirittura scelga contro gli interessi dei più piccoli. È uno slogan di cattivo gusto, che si aggrappa all’emotività esattamente come fa il “comunisti” di Berlusconi. E soprattutto offende l’intelligenza di chi vorrebbe sentire, al posto degli slogan, la  descrizione di un modello.

Il sindaco di Bologna, Virginio Merola, in questa sfida parte in evidente svantaggio: si è opposto in tutti i modi alla possibilità di un referendum sulla scuola. E invece quel referendum si farà. Parte in svantaggio, inoltre, perché il modello B – quello del Comune che finanzia le scuole private  – è quello che oggi abbiamo a Bologna e che non è riuscito a dare risposta a decine di famiglie bolognesi. Difenderlo a spada tratta è voler fare l’avvocato delle cause perse.

Ma soprattutto il sindaco rischia di aver già perso perché in questa partita ci ha lasciato senza garante, senza un arbitro, preferendo sin da subito una metà campo a quell’altra. E se il referendum alla fine darà un verdetto contro il modello “B” lo darà anche – inevitabilmente – contro il primo cittadino. Che invece aveva tutto l’interesse di attendere con sana e sincera curiosità l’esito del voto, misurandosi come amministratore con la presa di parola di una fetta grande (io spero) della sua città.

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