L’India offre una via d’uscita all’Italia per il caso dei marò non rientrati nel paese asiatico dopo il permesso per poter votare. Il ministro indiano della Giustizia Ashwani Kumar ha detto che i due fucilieri, accusati di aver causato la morte di due pescatori scambiati per pirati, “possono ancora tornare in India entro il 22 marzo e che se ciò avviene si può porre rimedio a questa sfortunata situazione”. Il Guardasigilli spiega a The Telegraph, lo storico quotidiano di Calcutta, che così la crisi diplomatica che si è innescata con il nostro ambasciatore trattenuto in India, potrebbe spegnersi. Proprio s proposito della decisione della Corte Suprema di non riconoscere l’immunità al diplomatico, il ministro ha precisato che “le autorità indiane sono obbligate ad adeguarsi agli ordini della Corte Suprema” e che “il non rispetto della dichiarazione giurata presentata alla Corte dall’ambasciatore costituisce una situazione che non ha precedenti”. Il governo spiegherà “in modo assolutamente chiaro” la sua posizione nella prossima udienza del 2 aprile. Kumar ha poi aggiunto che il ministero della Giustizia e il dipartimento giuridico del ministero degli Esteri stanno esaminando la natura e l’applicabilità dell’immunità diplomatica in base alla Convenzione di Vienna e che la risposta del governo alla Corte Suprema sarà “una risposta ponderata che prenderà in considerazione tutti gli aspetti della questione”.

Massimiliano Latorre e Salvatore Girone  intanto sono stati indagati dalla procura militare di Roma per i reati di “violata consegna aggravata” e “dispersione di oggetti di armamento militare”. La loro iscrizione nel registro degli indagati risale a subito dopo la morte dei due pescatori ma si è appresa solo nella serata di mercoledì 20 marzo. Girone  è stato interrogato dal procuratore militare Marco De Paolis. Che, però, sarebbe intenzionato a spogliarsi del caso, lasciando tutta l’inchiesta in mano ai magistrati di Piazzale Clodio che indagano per omicidio volontario: “Sto valutando la possibilità di trasmettere gli atti per connessione al magistrato ordinario, essendo più grave il reato comune”.

Girone avrebbe ribadito la correttezza del suo operato, così come una decina di giorni fa avrebbe fatto Latorre. Il procuratore militare, infatti, ipotizzando il reato di violata consegna, intende proprio accertare se siano state rispettate le regole d’ingaggio e le disposizioni che regolano il servizio di protezione a bordo dei mercantili (mentre il reato di dispersione di oggetti di armamento militare fa riferimento alla ‘dispersionè, appunto, dei proiettili sparati dai due fucilieri).

Con l’interrogatorio dei due marò De Paolis ha di fatto concluso la serie di atti istruttori avviata subito dopo i fatti, quando li aveva iscritti nel registro degli indagati, oltre che per i due reati militari, anche per quello ‘comune’ di omicidio colposo. Proprio con riferimento a quest’ultimo reato aveva trasmesso per competenza gli atti alla procura ordinaria, che ha poi riformulato l’accusa in omicidio volontario. Ora, terminate le indagini e considerato che i reati su cui indagano le due procure sono connessi, il pm – come prevede la legge – potrebbe trasmettere gli atti al collega della procura ordinaria, che indaga sul reato più grave.

E proprio da piazzale Clodio si registrano sviluppi, con la decisione dei pm di disporre (per il 28 marzo) una consulenza tecnica sul computer e sulla macchina fotografica di bordo della petroliera Enrica Lexie, sulla quale erano imbarcati i marò. Attraverso il computer, sul quale sono registrate le conversazioni tra il comandante dell’equipaggio e l’armatore, nonché le comunicazioni fatte dagli organismi italiani, e la macchina fotografica, sulla quale sono memorizzate le immagini del presunto attacco di pirati, gli inquirenti vogliono ricostruire quanto accaduto. Una ricostruzione, comunque, parziale, visto che nel fascicolo mancano ancora i risultati delle autopsie dei due pescatori, le perizie balistiche, le prove di sparo sulle armi di Latorre e Girone ed i resoconti dei testimoni indiani. Documenti sollecitati in due rogatorie internazionali alle autorità indiane, ma che non sono ancora arrivati. Agli atti dei pm Capaldo e Ceniccola ci sono le versioni fornite dai due marò, (“abbiamo sparato 7-8 colpi in mare per scoraggiare l’avvicinamento di un’imbarcazione diversa da quella mostrata dalle autorità indiane”) e il racconto degli altri quattro fucilieri del Nucleo militare di protezione, che hanno detto di non essere stati testimoni diretti dell’accaduto. In pratica, di non aver visto niente.

Dall’India, intanto, continuano ad arrivare bordate. La posizione italiana sulla questione dei marò “ha gettato un’ombra sulle relazioni fra i due paesi”, ha ribadito il premier indiano Manmohan Singh. In una lettera al governatore del Kerala, il premier ha ripetuto che l’Italia trattenendo i due ha violato “tutte le norme del contesto diplomatico”. Singh ha detto di condividere il sentimento di indignazione nazionale e assicurato che tutte le opzioni diplomatiche e legali saranno esplorate per riportarli indietro e processarli (il permesso concesso a Latorre e Girone scade venerdì).

Una fonte del governo italiano, però, a margine dell’interrogatorio di Girone, ha ribadito le ragioni di diritto in base alle quali l’Italia ha legittimamente deciso di non far tornare i due marò in India. Se infatti ciò fosse avvenuto, dopo la sentenza della Corte suprema di New Delhi, ci sarebbe stata una “chiara violazione” delle nostre norme costituzionali, con particolare riferimento al rispetto del giudice naturale precostituito per legge e al divieto di estradizione dei propri cittadini.

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