Mentre noi ci gingilliamo con la politica italiana, i ministri delle Finanze europei hanno trovato un modo per far ripartire la crisi dell’euro che pareva almeno sopita. La decisione dell’eurogruppo, nella notte tra venerdì e sabato, ha sconvolto i mercati mondiali: i soldi per salvare il sistema bancario di Cipro arriveranno in parte dall’Europa e in parte dai conti correnti ciprioti.

Per la prima volta dall’inizio della crisi i cittadini sono chiamati a sostenere il peso della crisi finanziaria non tramite le tasse, ma direttamente con i propri risparmi, con un prelievo forzoso che ricorda quello di Giuliano Amato durante la crisi valutaria del 1992

Lo schema dell’accordo raggiunto a Bruxelles è questo: a Cipro servono circa 17,5 miliardi per salvare un sistema bancario in dissesto soprattutto per colpa della crisi della vicina Grecia. Dieci miliardi arriveranno dall’Europa, 5,8 saranno invece prelevati dai conti correnti sotto forma di una tassa una tantum del 9,9 per cento per i depositi superiori ai 100mila euro e del 6,75 per quelli sotto tale soglia.

Il Parlamento di Cipro deve deliberare il prelievo perché, giuridicamente, si tratta di una imposta straordinaria e, anche se imposta dall’esterno, deve essere ratificata secondo le normali procedure democratiche. Le banche restano chiuse, oggi e per almeno un paio di giorni, per evitare che i conti correnti vengano svuotati nella più classica delle corse agli sportelli (che come conseguenza inevitabile ha il fallimento immediato della banca).

In teoria non ci dovremmo preoccupare per un Paese minuscolo come Cipro, che ha un Pil di circa 18 miliardi (quasi 100 volte meno dell’Italia). Non dovrebbero suscitare particolare solidarietà neppure i correntisti ciprioti: molti conti sui cui transitano grosse somme sono spesso riconducibili alla criminalità russa che usa Cipro come base per il riciclaggio. E un bail out, un salvataggio, da 17 miliardi che impatto può avere sull’intera Unione europea? Se questo ragionamento fosse valido, non saremmo alle prese da quattro anni con il caso della Grecia. Anche perché sui mercati contano i principi, oltre che i numeri. Da adesso si sa che, in caso di salvataggio di un Paese in crisi, il costo può essere scaricato anche sui conti correnti.

Il clima di ieri sui mercati lo riassume bene la nota di Lars Seier Christensen, amministratore delegato di Saxo Bank: “ Questa è una chiara violazione dei diritti di proprietà fondamentali, dettata ad un piccolo paese da poteri stranieri e deve far rabbrividire ogni correntista europeo”. E la ragione è questa: “Se si può fare una volta, si può fare anche la seconda. Se si può confiscare il 10% dei soldi dei clienti di una banca, si può arrivare fino al 25, al 50 o addirittura al 100%. Credo che adesso vedremo la situazione peggiorare sempre di più, perché i politici faranno qualsiasi cosa pur di mantenere l’euro in vita”, scrive Christensen.

L’eurogruppo, pare su ispirazione della Germania (ossessionata dalla solita logica dei compiti a casa e del non fare regali a nessuno), ha scavato una crepa nello scudo di Mario Draghi attorno all’euro. Fino a venerdì eravamo tranquilli che, in caso di necessità, la Bce avrebbe fatto “whatever it takes” (tutto il necessario, secondo la celebre frase di Draghi) per difendere l’euro. Nel caso dell’Italia, troppo grossa per essere salvata dai fondi salva Stati europei, significherebbe usare la Bce per comprare titoli di Stato o finanziare la ristrutturazione del sistema bancario.

Ora, invece, si è creato un precedente: prima di usare il bazooka della Bce si può chiedere ai risparmiatori di sopportare una parte del prezzo del salvataggio. E se hanno dovuto pagare i ciprioti, figuriamoci se sarebbero risparmiati i ben più ricchi italiani.

Si balla di nuovo, insomma. La crisi dell’euro è tornata. E questa volta non è colpa dei mercati brutti e cattivi, ma di politici stupidi e inadeguati alle sfide che la Storia ha chiesto loro di affrontare.

In bocca al lupo al prossimo governo italiano. Non avrà vita facile in Europa.  

 

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