Ormai 12 anni fa. Perché prima di Genova, del fumo dei lacrimogeni, dei pestaggi, della sospensione dei diritti, delle lacrime per Carlo Giuliani ci fu Napoli. 17 marzo 2001. La democrazia quel giorno morì di violenza, di manganelli, di una repressione che bisogna ricordare, come un dovere civile. Il giorno orribile come i giudici lo hanno definito nel processo celebrato a carico di alcuni agenti accusati di violenza e, perfino, di sequestro di persona. In quello stesso giorno alcuni manifestanti furono condotti alla caserma Raniero: botte e umiliazioni. Il processo si è concluso con la prescrizione, ma quella storia che è civile e collettiva non si prescrive.

Avevo le stampelle, ma andai in piazza lo stesso perché a venti anni, come canta il maestrone Guccini, si è stupidi davvero. E io ne avevo 18, stupido un po’ di più. Eravamo in tante e tanti, un fiume di volti attraversò la mia città. Si manifestava in occasione del global forum. Piazza Plebiscito era una fortezza dove si discuteva dell’e-government. Con Genova si completò il quadro e l’immagine di vertici della terra che decidevano i destini senza consultare i popoli, arrogandosi il diritto di una delega in bianco che nessuno gli aveva assegnato. Allora era difficile scendere in piazza, al governo c’era un centrosinistra che sperimentò la militarizzazione che trovò a Genova, nel luglio successivo, con le destre padrone del paese, il punto di non ritorno. Quel 17 marzo 2001 la democrazia morì per un giorno.

A quella comunità diversa e variegata, dipinta in ogni modo becero e insulso da fogli carichi di odio, fu riservata la stagione dell’indifferenza e del silenzio dagli apparati politici. Qualche cooptato in parlamento, ma quelle istanze: reddito minimo, tobin tax, il no alle guerre, il rischio finanziarizzazione dell’economia, furono completamente ignorate. Un movimento che commise errori, certo e anche tanti, ma quella piazza avrebbe preteso risposte e politiche. Arrivarono manganelli. Scrissi raccogliendo la storia di qualche amico che aveva subito, rimasto in mezzo mentre la violenza saliva. Inviai quella testimonianza a quanti scrissero il libro bianco su quei giorni. La scrittura anche allora fu strumento di estraniazione e rivalsa. Già allora si parlò del codice identificativo per gli agenti, anche in nome della stragrande maggioranza che fa il proprio dovere, e dell’introduzione del reato di tortura, entrambe le richieste restano ancora lettera morta. 

Ricordo le cariche. Quando partirono, con le stampelle, guadagnai un vicolo mentre le forze, quel giorno, del disordine bloccavano ogni accesso a piazza Municipio. Il nostro rifugio fu un palazzo. Salimmo al secondo piano. Fu una giornata surreale con le idee tra le mani sporche di sangue che ti chiedevano se ne valeva ancora la pena mentre osservavi la schiena rigata di chi aveva subito le cariche e i freddi colpi dei manganelli. Ora a distanza di anni restano i processi alle violenze di stato finiti in prescrizione e i vertici del paese che, oltre un decennio dopo, parlano di reddito minimo, tobin tax e del  fallimento della globalizzazione, di fatto moltiplicatore di debolezze, povertà e diseguaglianza.

Mi volto indietro. Sorrido a quei 20 anni e a noi che, allora, eravamo stupidi, davvero; resistenti che sognavano un altro mondo possibile. Un modo perché la politica recuperi quel giorno è l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta per capire cosa accadde quel 17 marzo 2001 quando morì la democrazia.

 

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