Lo scorso anno sotto il “nevone di febbraio 2012” c’era più neve alla Montagnola di Bologna che a Cortina d’Ampezzo. In contemporanea al grande gelo con 15 gradi sotto zero in Emilia alle Isole Svalbard pioveva! A fine marzo i camion portavano neve, correndo veloci perché non si sciogliesse, sulle piste a 2500 m sempre a Cortina per cercare di finire come da programma la stagione nonostante il caldo esploso in anticipo.

I ghiacci marini del Polo Nord hanno raggiunto, a settembre 2012, il minimo storico di estensione estiva, aprendo così nuove rotte commerciali e la corsa alle trivellazioni petrolifere ma sconvolgendo anche  la circolazione generale dell’atmosfera esponendo, paradossalmente, le medie latitudini a nevicate improvvise e intense. Poi, i venti di scirocco fondono in fretta la neve causando improvvise piene dei fiumi emiliani e dissesti idrogeologici. E’ successo in modo imponente nel Natale 2009 dopo un grande gelo che fece titolare “dove è finito il global warming?” ad alcuni quotidiani. E’ successo di nuovo varie volte gli ultimi anni e 3-4 volte quest’anno, l’ultima proprio pochi giorni fa. Vere e proprie “contraddizioni nevose moderne” insomma che aumenteranno sempre più in futuro se non si agisce per combattere i cambiamenti climatici. 

Ma la neve è un “costo”? Quanto vale una nevicata come acqua che riempie le falde, freddo che uccide parassiti, bellezza del paesaggio, valore turistico, e perché no i giochi dei bambini a far pupazzi?

I comuni piangono, appunto, per le spese sostenute per lo sgombero della neve e lo spargimento di sale assai inquinante per l’ambiente; c’è chi dice “sale in zucca non in strada”. Nel contempo le stazioni sciistiche chiedono aiuto alle casse pubbliche per sostenere i costi e gli investimenti dell’innevamento artificiale, un vero e proprio “accanimento terapeutico” in tempi di cambiamenti climatici.

Qualche riflessione però va fatta anche sul concetto di “costo della neve”. Anzitutto, il clima prende in considerazione, per definizione, la media dei parametri meteorologi sul lungo periodo, 30 anni di norma. La neve varia molto da un anno all’altro e i bilanci del “costo della neve” andrebbero fatti, appunto, su periodi lunghi, se non trenta almeno 5, meglio 10 anni; non di anno in anno! E poi dipende da chi gestisce lo sgombero.

Le nevicate di questo inverno, complessivamente a 94 centimetri di neve caduti tra il 3 dicembre a la fine di febbraio, sono costate al Comune di Modena un milione e 192 mila euro considerando le spese fisse dovute alla gestione diretta da parte del Comune del Piano neve e le spese variabili per le singole precipitazioni. Il costo complessivo dello scorso anno, quando caddero 85 centimetri di neve, era stato di due milioni e 600 mila euro. Più di un milione di euro di risparmio.

Ma cosa è cambiato per ottenere un così consistente risparmio? Questo anno il servizio è stato gestito in forma diretta dal Comune; l’ anno scorso era gestito da Hera. Che dire? Qualche riflessione andrà pur fatta.

Il privato è più efficiente del pubblico; i lavoratori del pubblico sono dei fannulloni ed i loro dirigenti sono degli incapaci; meglio appaltare che gestire direttamente. Quante volte abbiamo sentito queste frasi dette chiaramente da esponenti del centrodestra, ma spesso pensate segretamente anche da qualche esponente del centrosinistra.

Al di là di altre considerazioni sulla qualità del lavoro, ma anche di alcuni privilegi di cui godono, o meglio godevano, i dipendenti pubblici, sarebbe bene che, al di là degli slogan, si facessero delle riflessioni serie, analizzando specifiche situazioni. E l’esame dei “costi” delle nevicate, a Modena, ci può aiutare.

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