La caccia in Piemonte. Cronistoria per chi se la fosse persa.

Nella primavera-estate del 1987 in Piemonte vengono raccolte circa 60.000 firme in calce alla richiesta di un referendum regionale che chiede l’abrogazione di alcuni articoli della Legge Regionale 60/79, la normativa allora vigente in materia di caccia. In pratica, se il referendum passasse la caccia verrebbe quasi totalmente abolita sul territorio piemontese.

Nel 1988 la Regione Piemonte (giunta di centrosinistra) dichiara la richiesta ammissibile, ma, subito dopo, vara una nuova normativa, la Legge Regionale 22/1988, che non recepisce le istanze referendarie e, conseguentemente, dichiara, con decreto la cessazione delle operazioni referendarie, essendo mutata la norma oggetto di consultazione.

Il Comitato Promotore impugna il provvedimento della Giunta Regionale in quanto illegittimo, non verificando se effettivamente la nuova normativa recepisce le istanze referendarie.

Il Tribunale di Torino rigetta la domanda del Comitato. La Corte d’Appello di Torino, invece, in riforma del primo grado, annulla il decreto regionale in quanto in esso non vi è una comparazione tra la nuova legge e quella precedente e pertanto non è possibile valutare se le istanze dei promotori siano state accolte o meno. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso della Regione e, pertanto, conferma il disposto della pronuncia della Corte d’Appello.

La Regione (sempre giunta di centrosinistra), allora, nomina una Commissione di esperti affinché questa valuti se la nuova disciplina aveva o meno recepito le istanze referendarie. La Commissione conclude i suoi lavori con esito positivo.

 Con conseguente nuovo decreto, la Regione reitera l’annullamento delle operazioni referendarie.

Il Comitato, stante la palese illegittimità del provvedimento, si rivolge di nuovo alla giustizia ordinaria.

Il 5 settembre 2008 il Tribunale accoglie le istanze dei promotori del referendum e riconosce il pieno diritto alla prosecuzione del processo referendario. La Regione appella la sentenza.

Il 29 dicembre 2010 la Corte d’Appello respinge il ricorso presentato dalla Regione Piemonte contro la sentenza di primo grado e ribadisce la legittimità della richiesta referendaria.

La Regione Piemonte non ricorre in Cassazione.

A questo punto il referendum si dovrebbe celebrare sulla nuova legge. La Regione fissa anche la data: il 3 giugno 2012.

Ma a medio tempore il Consiglio Regionale, su proposta dell’Assessore leghista Sacchetto (giunta di centro-destra), approva un emendamento alla Legge Finanziaria, mediante il quale viene abolita la Legge Regionale sulla caccia. La conseguenza è che in Piemonte vale la legge nazionale, che è più penalizzante di quella che era la legge regionale.

Ma ecco che adesso l’Assessore Sacchetto propone un nuovo disegno di legge regionale che sostanzialmente prevede: caccia nei Parchi naturali; estensione del numero delle specie cacciabili a tutte quelle della legge nazionale; eliminazione dei limiti di carniere fissati per legge; caccia in deroga alle specie protette; caccia agli ungulati tutto l’anno; limitazioni alla vigilanza venatoria volontaria; uso dell’arco quale mezzo di caccia.

In pratica, nessuna delle istanze del Comitato Referendario viene fatta propria dal Ddl, ma anzi viene peggiorata drasticamente la norma regionale su cui la cittadinanza piemontese avrebbe dovuto esprimersi.

Questi i fatti. A questo punto immaginate che io rappresenti qui il 70% di quella popolazione piemontese che di caccia non vuol più sentir parlare. Che cosa dovremmo fare? Accetto suggerimenti.

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