La pornografia non verrà bandita dai media dell’Unione europea, Bruxelles ha detto no. La messa al bando del porno contenuta nella “Relazione sull’eliminazione degli stereotipi di genere” è scongiurata, grazie anche alla rivolta che si è scatenata sul web: il Parlamento europeo ha approvato il documento con 368 voti, 158 no e 98 astenuti, ma ha cancellato il contestatissimo articolo 17, che conteneva il “divieto di ogni forma di pornografia nei media”, internet compreso. Esultano le associazioni per i diritti civili: “Siamo orgogliosi di aver allertato l’opinione pubblica – spiega Rick Falkvinge, fondatore del Pirate Party danese e attivista di European digital rights – se non avessimo sollevato il polverone, l’articolo sarebbe stato approvato insieme al testo e la censura sarebbe passata sotto silenzio”.

La proposta di risoluzione era stata presentata il 6 dicembre dalla Commissione per i diritti della donna con lo scopo di “garantire l’uguaglianza di genere“: “In tv, giochi per pc e video musicali – si legge – vi è una tendenza sempre più evidente a mostrare donne vestite provocatoriamente, in pose sessuali, contribuendo così a nutrire gli stereotipi“. Da qui al porno il passo è breve. “La pornografia sta scivolando nella nostra vita come un elemento culturale sempre più universalmente accettato”, si legge tra le premesse. L’unico modo per evitarlo, secondo la socialista olandese Kartika Tamara Liotard che ha firmato il testo, sarebbe stato vietare l’hardcore.

L’articolo 17 chiedeva “il bando di ogni forma di pornografia nei media”. Quali? Secondo gli attivisti, ogni mezzo di comunicazione, web incluso. A diradare ogni dubbio è l’articolo 14, che chiede alla Commissione Ue di “elaborare una carta cui tutti gli operatori Internet saranno invitati ad aderire”. Una formula talmente vaga da includere anche i contenuti di Facebook o Twitter. Dal 6 dicembre gli articoli 14 e 17 erano passati inosservati. Poi, agli inizi di marzo, la tempesta si era scatenata in poche ore. A innescarla era stato è Christian Engström, deputato Ue del Partito pirata svedese, che il 7 marzo sul suo blog aveva avvertito del “diavolo nascosto nei dettagli”. “I provider potranno controllare ciò che i cittadini fanno su internet non per via legislativa, ma per self regulation“.

A vigilare, infatti, non sarebbero stati chiamati solo gli organi di controllo dei singoli Stati, ma anche “gli organismi di autoregolamentazione dei media” su “tv, internet e campagne pubblicitarie”. La self regulation, spiega Engström, lascerebbe ai provider la libertà di controllare i comportamenti degli utenti, “aprendo alla censura esercitata dalle corporation”.

La notizia aveva cominciato a diffondersi in rete e una shitstorm (in italiano, una tempesta di merda, ndr), ovvero un bombardamento di email infarcite di insulti si era abbattuta su Bruxelles. In poche ore le caselle di posta dei 754 parlamentari sono state raggiunte da un numero tale di mail, oltre 600mila (secondo fonti parlamentari, inviate da “un numero limitato” di indirizzi IP), che Bruxelles ha deciso di filtrarle. A raccontarlo è stato ancora Engström: “In poco tempo – scrive l’8 marzo il deputato sul suo sito – molti cittadini hanno scritto per dire la loro. Prima di mezzogiorno, solo a me erano arrivate circa 350 mail. Poi, all’improvviso, il flusso si è interrotto perché il reparto IT del Parlamento sta bloccando la consegna delle mail, dopo che alcuni deputati si erano lamentati per le troppe segnalazioni. E’ una vergogna – chiosa Engström – un parlamento che considera spam le opinioni dei suoi cittadini ha ben poca legittimità democratica”. Nessuna volontà censorea, è stato un “errore”, ha spiegato la Liotard: “Nel testo è stata utilizzata la parola ‘media’, ma il divieto era rivolto alla pubblicità, non ai mezzi di informazione”. Anche se tra ‘media’ e ‘advertising’ c’è parecchia differenza. A indicare la strada della censura era stata l’Islanda, dove il governo sta lavorando per impedire la visione e il download di pornografia da pc, tablet e smartphone.

Di certo, la proposta della Liotard rafforza la convinzione secondo cui le donne sarebbero soltanto spettatrici innocenti di materiale pornografico e mai produttrici o consumatrici consapevoli. Il successo mondiale di romanzi erotici come “Cinquanta sfumature di grigio”, dell’inglese Erika Leonard, in arte E. L. James, dimostra il contrario. Come lo dimostra una nutrita tradizione di pornografia femminista – il post-porno – che dagli Usa arriva fino all’italiana Slavina Perez, blogger di Malapecora, secondo cui il porno al femminile combatte la società maschilista perché “contiene il germe della dissidenza ed è una proposta politica, ancor prima che estetica”.

Articolo Precedente

Le nuove frontiere della psicoterapia delle psicosi

next
Articolo Successivo

Rebibbia, la lezione di Piero Angela

next