Qual è l’andamento tipico dei voti nel Conclave prima che si raggiunga la maggioranza dei due terzi più uno? In ogni scrutinio le preferenze tendono a convergere sui cardinali che ottengono un numero crescente di voti tra una tornata e l’altra. Gli effetti della “controriforma” di Benedetto XVI.

di Riccardo Puglisi e Gianluigi Vernasca (fonte: lavoce.info

Le regole elettorali del Vaticano

Molto probabilmente il Conclave per eleggere il successore di Benedetto XVI inizierà prima del 15 marzo, in quanto il pontefice stesso, prima di ritirarsi, ha emesso un decreto (motu proprio) che permette la velocizzazione dei tempi. La questione è la seguente: qual è l’andamento tipico dei voti ricevuti dai vari “candidati”, prima che venga raggiunta la maggioranza dei due terzi più uno? Uno studio statistico fornisce indicazioni più precise a questo proposito. Prima, però, vediamo le regole che portano alla elezione del pontefice.

A stabilire che per essere eletto papa un candidato dovesse ricevere due terzi dei voti dei cardinali e che nessun cardinale potesse votare per se stesso fu Alessandro III nel 1179, durante il Concilio Laterano III. Paolo VI, riprendendo una modifica introdotta da Pio XII e abrogata da Giovanni XXIII, ha fissato la regola della maggioranza dei due terzi più uno, eliminando dunque l’onere di verificare se l’eletto abbia votato per se stesso. Lo stesso Paolo VI ha limitato l’esercizio del diritto di voto ai cardinali sotto gli ottanta anni di età. Ma la modifica più rilevante delle regole elettorali è stata introdotta da Giovanni Paolo II: con la Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, ha abbassato drasticamente il quorum necessario per scegliere una soluzione diversa dalla maggioranza dei due terzi più uno, in caso di mancata elezione del papa al trentaquattresimo scrutinio. Tuttavia, Benedetto XVI, eletto secondo le regole stabilite dal suo predecessore, le ha eliminate nel 2007: siamo dunque ritornati a un quorum di “due terzi più uno” per tutte le tornate di voto.

L’evoluzione dei voti

Durante i passati Conclavi, qual è stata l’evoluzione tipica dei voti dati ai vari candidati durante la sequenza degli scrutini? A quanto ci risulta, su questo tema esiste un solo studio statistico rigoroso. Sfruttando memoriali scritti da cardinali presenti, Jayne Toman dell’università di Sydney ha raccolto un insieme di dati sulla dinamica dei voti nei sette conclavi che vanno dall’elezione di Benedetto XV nel 1914 (cardinal Della Chiesa) a quella di Giovanni Paolo II nel 1978. (1)
Il più breve fu il Conclave che portò all’elezione di Pio XII (cardinal Pacelli), con tre scrutini, mentre l’elezione di Pio XI (cardinal Ratti) ne richiese quattordici.
La variabile dipendente studiata dalla Toman è il numero di voti ottenuti in ciascun scrutinio da ogni cardinale che ne abbia ricevuto almeno uno, e il cui nome sia stato annotato dai cardinali memorialisti.
Tre variabili hanno un’influenza statisticamente significativa sul numero di voti ricevuti.

(i) Il numero di voti ricevuti da un dato candidato alla tornata precedente (t-1) è correlato in modo fortemente positivo con il numero di voti ricevuti dallo stesso nello scrutinio presente. In altri termini, i voti tendono a convergere verso quei candidati che sono stati maggiormente votati allo scrutinio precedente. Secondo le stime effettuate dalla Toman, l’effetto del numero di voti alla tornata precedente è sempre positivo per tutti i conclavi studiati, eccezion fatta per quello che portò all’elezione di Giovanni XXIII (cardinal Roncalli). A parte questo caso, la stima più bassa dell’effetto si ha per il conclave che elesse Pio XI: ogni voto in più per un dato candidato alla tornata precedente è correlato con 0,44 voti in più durante lo scrutinio attuale.
(ii) Esiste un effetto di trascinamento (“momentum“), per cui una crescita dei voti ottenuti da un cardinale tra l’ultimo scrutinio (al tempo t-1) e il penultimo scrutinio (al tempo t-2) è correlato positivamente e significativamente con i voti ricevuti durante lo scrutinio presente (al tempo t). A prescindere dall’effetto per se stesso del numero delle preferenze ottenute allo scrutinio precedente, i cardinali tendono a convergere su coloro i cui voti appaiono in crescita. A titolo esemplificativo, durante il conclave che portò all’elezione di Pio XI (Ratti), il cardinal Gasparri ricevette otto voti al primo scrutinio, che poi crebbero fino a ventiquattro nel sesto, per rimanere a questo livello per altre due tornate. La perdita di momentum contribuisce a spiegare il fatto che i sostenitori di Gasparri si siano spostati su altri candidati e in particolare su Ratti. Nella tornata finale (la quattordicesima) Gasparri non ricevette alcun voto. Il momentum, pur avendo un effetto positivo sul numero di voti, è di magnitudine assolutamente inferiore rispetto al numero di voti al tempo t-1: ad esempio, per i conclavi di Benedetto XV e Pio XI un voto in più tra lo scrutinio t-2 e t-1 è correlato in media con 0,02 voti in più per quel candidato allo scrutinio t.
(iii) Nel 1904 (disposizione di Pio X) il numero di scrutini giornalieri è stato elevato da due a quattro. A parte la pausa per il pranzo, il momento in cui i cardinali hanno più tempo a disposizione per scambiarsi informazioni e stringere accordi è la sera, quando conversazioni private nelle stanze sono in via di principio possibili. Secondo le stime della Toman, l’effetto principale delle “conversazioni notturne” è quello di ridurre sensibilmente i voti ricevuti il mattino successivo dal candidato che si trovava in testa la sera precedente. L’effetto potrebbe essere spiegato dal fatto che le conversazioni notturne facilitano un coordinamento tra gli elettori, finalizzato a impedire o rallentare la vittoria del candidato in testa. Unica eccezione a questa regolarità è rappresentata dal conclave che elesse Giovanni Paolo II.

La breve vita della maggioranza assoluta

Con la Costituzioneapostolica Universi Domini Gregis del 1996, Giovanni Paolo II – oltre a eliminare la possibilità di eleggere il nuovo papa per “acclamazione” e per “compromesso” – ha modificato il quorum necessario per passare, dopo il trentaquattresimo scrutinio senza esito, dalla maggioranza dei due terzi più uno alla maggioranza assoluta o al ballottaggio tra i due candidati più votati nella tornata precedente. Con le regole precedenti, la maggioranza di due terzi più uno poteva essere alterata soltanto con il consenso unanime di tutti i cardinali partecipanti al conclave. Dopo l’introduzione della nuova regola, una maggioranza assoluta di cardinali era sufficiente per decidere se a partire dal trentacinquesima votazione si dovesse procedere a maggioranza assoluta, oppure con ballottaggio.
Si dà il caso però che queste regole siano state applicabili soltanto al conclave del 2005 che ha portato all’elezione di Benedetto XVI: molto probabilmente hanno dato maggior potere contrattuale a una maggioranza semplice – e coesa – di cardinali durante i primi scrutini, a motivo della minaccia credibile di scegliere un quorum del 50 per cento più uno dopo il trentaquattresimo scrutinio. Poiché nel 2007 Benedetto XVI ha reintrodotto un quorum permanente dei due terzi più uno, ci aspettiamo che il Conclave attuale convergerà su un cardinale che può contare su un consenso ampio. Non siamo certamente attrezzati a leggere le intenzioni del papa emerito, ma possiamo supporre che la sua decisione del 2007 fosse motivata esattamente dal desiderio di facilitare l’elezione di un successore che sana fratture invece di allargarle.

* Questa è la versione aggiornata di un pezzo apparso su lavoce.info il 14 aprile 2005, ovvero cinque giorni prima dell’elezione di Joseph Ratzinger come Papa Benedetto XVI.

(1) Toman, J. T. [2004]. “The Papal Conclave: How do Cardinals Divine the Will of God?”. Mimeo,University ofSydney. Disponibile qui: http://128.97.165.115/media/files/PERG.Toman.pdf

Riccardo Puglisi: ha studiato all’Università di Pavia (dottorato in finanza pubblica) e alla LSE (PhD in economia). Dopo essere stato visiting lecturer al dipartimento di scienze politiche del Massachusetts Institute of Technology, attualmente è Marie Curie Fellow all’ECARES (Université Libre de Bruxelles). Si occupa principalmente di political economy, ed in particolare del ruolo politico dei mass media.

Gianluigi Vernasca: ha conseguito il dottorato in economia politica presso l’Universita’ di Pavia. Attualmente e’ studente di PhD in economics alla University of Warwick e Research Fellow presso il Dipartimento di Economia Politica e Metodi Quantitativi dell’Università di Pavia. Si occupa principalmente di economia pubblica, teoria dei giochi ed economia industriale.

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