Il decreto stabilisce “il principio della totale accessibilità delle informazioni. Il modello di ispirazione è quello del Freedom of Information Act statunitense, che garantisce l’accessibilità di chiunque lo richieda a qualsiasi documento o dato in possesso della Pubblica amministrazione, salvo i casi in cui la legge lo esclude espressamente (es. per motivi di sicurezza)”.

E’ così che lo scorso 15 febbraio il governo di Mario Monti aveva presentato alla stampa il proprio decreto di riordino della disciplina in materia di trasparenza.

Era una balla. Una clamorosa bufala istituzionale come ipotizzato, sin dall’inizio, da queste stesse colonne.

La conferma – per la verità non necessaria davanti all’inequivoco tenore letterale delle disposizioni del decreto – è appena arrivata da Acces info – una delle più accreditate organizzazioni internazionali in materia di diritto all’informazione – e da Diritto di Sapere – associazione che in Italia promuove il diritto di accesso.

Le due associazioni, nelle ultime settimane, hanno confrontato il testo italiano con le leggi più avanzate a livello internazionale ed i parametri utilizzati da Global Integrity, organizzazione internazionale che da anni si occupa di misurare, tra l’altro, il livello di trasparenza delle amministrazioni pubbliche in giro per il mondo.

Helen Darbishire, direttore esecutivo di Access-Info, riassume così i risultati del confronto: il decreto italiano è una legge sulla trasparenza, ma non contiene alcuna misura che metta l’Italia in linea con la normativa internazionale sul fronte del diritto di accesso all’informazione, che nelle democrazie più avanzate garantisce ai cittadini il diritto di richiedere e ottenere dalle istituzioni documenti e dati pubblici, ma non pubblicati.

«Pur parlando di “accesso civico” nell’articolo 5, infatti, il decreto non espande veramente il diritto dei cittadini di richiedere informazioni pubbliche, ma non pubblicate» sottolinea Andrea Menapace, co-fondatore dell’associazione Diritto di Sapere «perché non va a toccare la legge italiana sull’accesso (L. 241/90). Come già segnalato dalla Open Media Coalition, a cui aderisce anche DDS, questa legge non è adeguata agli standard internazionali del diritto all’informazione e questa legge non porta significativi miglioramenti».

Il governo ha mentito e lo ha fatto  a proposito di un testo di legge sulla trasparenza dell’azione dell’amministrazione.

Una storia che sembra più una tragicommedia uscita dalla penna di uno scrittore di successo che un episodio realmente accaduto.

Tra i primi ad avanzare dubbi e perplessità sull’iniziativa del governo, nelle scorse settimane, era stato Frank La Rue: “Come relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e tutela della libertà di espressione sono profondamente sorpreso che il governo italiano abbia varato un decreto sull’accesso all’informazione senza una preventiva consultazione con la società civile e gli altri stakeholders e soprattutto che il decreto sia stato approvato a due settimane dalle elezioni e surrettiziamente, omettendo di darne notizia nell’ordine del giorno della seduta della Presidenza del Consiglio dei ministri”.

Dubbi e perplessità che, oggi, risultano, purtroppo, confermati dall’analisi del testo condotta sulla base di incontestabili standard internazionali.

Il nostro Paese è, ancora, uno dei pochi al mondo nel quale non esiste un Freedom of information Act e, quindi, nel quale al cittadino ed al giornalista continua ad essere negato il diritto di essere informato ed informare a proposito dell’azione della pubblica amministrazione.

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