La faccenda che i grandi abbiano bisogno di omaggi mi ha sempre incuriosito; come se la Regina d’Inghilterra morisse dalla voglia di chiederci in prestito l’asciugacapelli.

I grandi non chiedono omaggi, vivono per farne, e “perdendosi” vincono tutto; è per distrazione che si diventa grandi. Non hanno in mente di cambiarti la vita, ed così che te la cambiano, accontentandosi di farti compagnia per tre minuti, sbucando dalla tua autoradio mentre sei fermo ad un semaforo.

In quei tre minuti di canzone farai strani incontri; ci sei tu, la tua vita, la tua città, gli sconosciuti e gli amori cui dovevi finire di dire una cosa, ma non sapevi qual’era. Lucio Dalla, per dire, ha finito molti di quei miei discorsi interrotti, addirittura prima che venissero iniziati. La sua non è una grandezza che meramente esiste, la sua grandezza insiste. Ogni giorno. Come un amico che prima di partire ti strizza l’occhio e dice “Mi faccio vivo io, so dove trovarti”. E allora col sorriso del paradosso mi dico, ma non ci scappa da ridere all’idea di esser noi a ricordarlo? Già che siamo in debito, non sarebbe meglio se fosse lui, quando ne avrà voglia e tempo – che dove è adesso ogni giorno c’è da fare – a ricordarsi di noi?  Nella mia vita si è sempre fatto vivo lui, anche in incognito.

Ricordo una sera di decenni fa, a cena coi miei davanti alla tv. Era un lunedì e aspettavamo il film della sera su RAI1, quando sbucò una sigla. Un minuto nel quale ricordo che, senza alcun plausibile motivo, mi venne prima da piangere e poi, verso la fine, mi sentivo felice. “Lucio, che ci fai qua?” pensai. Lunedì al Cinema credo si chiamasse, comunque era lui, il suono della vita e il suo “arrangiamento” in uomo solo, a due passi da casa mia.

Sgombriamo il campo dagli equivoci, era palpabile la sincerità e la buonafede dei partecipanti al giusto omaggio dell’altra sera in piazza. Senza perder tempo nell’inutile e personale giochino del “mi è piaciuto questo, non mi è piaciuto quello” (dipende dai gusti) si vedeva ad occhio nudo la vicinanza a Lucio – umana ed artistica – di persone come Ron, Luca Carboni, gli Stadio, Samuele Bersani ed Angela Baraldi. Con lo stesso occhio nudo col quale era evidente che miracoli come Ornella Vanoni (e con lei Patti Pravo, Mina e Mia Martini) non si rintracciano nelle lacrime da televoto dei talent, ma in quelle della vita, camuffate da ironia.

Non è dunque in discussione la scelta di aver voluto giustamente omaggiare Lucio con questo evento, in discussione semmai è la parola stessa usata per dirgli grazie, “evento” (e le insidie che questo termine nasconde).

Non è questo il caso, non mi riferisco allo spettacolo dell’altra sera, ma allargando il campo a discorsi più generali, è chiaro che da anni a questa parte la cronica incapacità delle istituzioni culturali (e di certi artisti) di immaginare un vero quotidiano dell’arte (fatto di piccole ma concrete possibilità per gli artisti di esprimersi e per il pubblico di conoscere qualcosa di diverso) è mascherata da monumentali eventi una tantum. “Grandi eventi” che portano i “big” ad esibirsi dieci minuti – e a pernottare svariate notti a spese dell’organizzazione – e, al loro fianco sul palco, una serie di tormentati nessuno a far ciao con la manina, come i passanti dietro l’inviato del telegiornale sul luogo di un disastro ferroviario. 

La Bologna che Lucio ha raccontato era diversa. Era una città in cui “l’impresa eccezionale è essere normale”, non viveva di grandi eventi ma di piccoli pomeriggi che custodivano promesse, e di sere più larghe che lunghe che parlavano tutte “una lingua meravigliosa”. Ricordarlo è aver presente anche questo.

Sento discutere, con argomenti legittimi da ambo i lati, della possibilità di far diventare questa serata di Lucio un appuntamento fisso, ma per me un vero grazie è detto una volta soltanto, per sempre. Non mi pare una buona idea cristallizzare quel grazie, il rischio di trasformare un abbraccio in un format mi sembra dietro l’angolo.

A questo punto non mi stupirei se, a torto o a ragione, oltre alla musica, anche altre energie artistiche cittadine reclamassero implacabilmente il loro spazio sul palco per dire “grazie“. Per paradosso potremmo dire: difendiamo Lucio dagli alcuni omaggi incombenti. Si ricorda chi non c’è più, ma nessuno è più presente di lui a Bologna, soprattutto da quando ci ha fatto credere di essersene andato.  “A Lucio farebbe piacere…” sento dire, può essere, anche se credo che l’unico che possa parlare per Lucio, sia lui stesso e lo ha già fatto con le sue canzoni; gli ha fatto piacere vivere e suonare. Amici artisti, volete dirgli davvero grazie e dirgli che era grande? Siate grandi voi stessi e, come lui, fate finta di niente “per poter riderci sopra, per continuare a sperare”.

Articolo Precedente

Gianni Celati, Bologna celebra il “suo” traduttore dell’Ulisse di Joyce

next
Articolo Successivo

Bologna, Nick Cave and the Bad Seeds in concerto al Paladozza

next