Un mandato pieno dal Pd per ”andare fino in fondo” nel tentativo di creare un governo di minoranza. Pier Luigi Bersani punta nella direzione di mercoledì a compattare con il voto il partito, consapevole che l’unità è fondamentale per superare il primo passaggio: convincere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano della validità della sua proposta. Per evitare rotture traumatiche, non solo interne, il leader Pd non darà voce nella sua relazione ai pasdaran del partito che, in caso di fallimento, vedono solo il voto ed eviterà ultimatum che possano forzare i rapporti con il Colle.

Come nelle occasioni importanti, ci saranno tutti i big nella direzione di mercoledì, voluta dal segretario in diretta streaming per inchiodare tutti alla responsabilità di parole e gesti. Ci sarà anche Matteo Renzi, da martedì nella Capitale. Ma se la presenza del sindaco di Firenze fa piacere alla maggioranza del partito, convinta della necessità di una prova di compattezza, molto meno è stato gradito l’incontro tra Mario Monti e il rottamatore, bollato come un’entrata a gamba tesa del premier nella delicata partita del Pd.

L’attivismo di Renzi è stato considerato da molti nel Pd come un posizionamento in caso di scenari futuri, in particolare di un ritorno alle urne se non si riuscisse a formare un governo. Ipotesi che Bersani al momento non vuole prendere in considerazione determinato a giocarsi l’ultima carta: “Dobbiamo andare fino in fondo, chi ha la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato ha il diritto-dovere di presentare una soluzione” è la linea che il leader Pd ha ribadito oggi per convincere i più titubanti. Su una cosa Bersani sarà netto: domani, scommette Anna Finocchiaro, “il Pd sarà unito su una proposta chiara: noi diciamo no ad ipotesi di governissimi con Berlusconi”.

Sul tentativo del Pd di ‘stanare’ Grillo, in realtà, sono convinti quasi tutti tra i democratici: chi più, come i ‘giovani turchi’ e i bersaniani, chi, come i renziani e gli uomini di Enrico Letta e Dario Franceschini, più per mancanza di proposte più solide che per reale convinzione. Ma l’esito della ‘conta’ finale dipenderà molto dai toni usati dal segretario. C’è chi infatti, come Matteo Orfini, vorrebbe avvertire il Quirinale che “non rientra tra le prerogative che la Costituzione attribuisce al Presidente della Repubblica definire la linea politica del Pd’’.

E da giorni Stefano Fassina ripete “o governo di scopo o al voto. Posizioni estreme che potrebbero compromettere un già delicatissimo equilibrio interno, vedendo la contrarietà di Walter Veltroni e dei moderati, Renzi incluso. “E’ giusto che il Pd – sostiene il presidente dell’Anci Graziano Delrio, fotografando la posizione del sindaco di Firenze – faccia le sue proposte per varare un governo, anche se poi l’ultima parola spetta giustamente al presidente Napolitano”. Bersani non ha alcuna intenzione di infastidire il presidente della Repubblica ma è convinto della validità dei suoi 8 punti per un “governo di combattimento” perché, spiegano i suoi, “se la via indicata da me è stretta, le altre sono ancora più impervie”.

L’incontro tra a palazzo Chigi tra Mario Monti e Matteo Renzi era stato fissato da tempo, ma non non è stato di sola routine. Non tutti i sindaci vengono ricevuti con tanta enfasi e nel menù c’è stata a lungo anche la situazione politica nazionale, non solo quella di Firenze. Il premier e il sindaco hanno analizzato il voto e discusso delle varie prospettive, condividendo il giudizio sulla difficoltà in cui si trova la politica italiana alla vigilia dell’elezione dei due presidenti di Camera e Senato, dell’incarico a un nuovo governo e dell’elezione del successore di Giorgio Napolitano. Per il resto la giornata romana di Renzi è passata tra incontri e telefonate. E in serata ha maturato l’idea che, oltre a partecipare alla riunione della direzione Pd di domani, potrebbe anche intervenire, per la prima volta da quando è stato eletto sindaco.

Obiettivo di Renzi è chiarire pubblicamente che lui non è l’anti-Bersani. Per questo ha smentito di voler fare il premier in caso di fallimento del tentativo del segretario, per questo ha sconvocato la riunione dei ‘suoi’ parlamentari prevista in un primo momento per oggi e per questo domani sarà alla direzione. Vuole rendere plasticamente l’idea che lui non è l’antagonista di Bersani. E dunque se come sembra interverrà, starà sulla linea del segretario, anche se non è un mistero che l’idea di dar vita a un esecutivo Pd-M5S non lo entusiasmi. Ma dirà anche chiaro che non si può proporre ora un governo con Berlusconi e dunque non romperà con la linea ufficiale del partito che a suo avviso ora deve rimanere compatto. Quanto ai suoi auspici, Renzi non vuole essere tirato per la giacchetta nella ricerca di soluzioni in caso di fallimento del tentativo di Bersani. Ha perso le primarie e l’onere della responsabilità di guidare il partito spetta al segretario. Anche perché nessuna delle diverse ipotesi che si affacciano, dal voto immediato al voto tra pochi mesi dopo un governo tecnico, dà a Renzi garanzie di una facile vittoria se, come non ha nascosto, si candiderà a diventare il futuro premier.

Tra i parlamentari a lui vicini molti mettono intanto in guardia sulla gestione politica dell’elezione dei presidenti delle Camere. Non sfugge a nessuno, infatti, che in caso di governo istituzionale, chi sarà eletto potrebbe essere poi il premier incaricato, magari anche solo con un mandato esplorativo, in caso di fallimento del tentativo di Bersani. Dopo la riunione della direzione, dunque, i più vicini a Renzi sollecitano una analisi accurata delle diverse possibilità, compresa quella di ‘cedere’ una delle due Camere all’opposizione

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