Nella sua via D’Azeglio risuonano le note dei suoi brani, e sembra sia perfettamente normale, la colonna sonora della quotidianità bolognese. Ron sta facendo il soundcheck con Samuele Bersani, Angela Baraldi e Luca Carboni. C’è chi mangia un panino in piedi, che la piazza alle sei e mezza è già stracolma.

Il sindaco di Bologna, Virginio Merola deve accontentarsi dell’ultimo mezzo sandwich rimasto al Gran Bar di via D’Azeglio, quello dove Lucio prendeva l’aperitivo, preso d’assalto da chi voleva esserci a salutarlo. All’angolo di via De’ Fusari, dietro Palazzo D’Accursio e dietro all’immenso palco di Piazza Maggiore, che per oggi si chiama Piazza Grande, un chiosco vende tortellini bolognesi. Nel cortile dell’ex palazzo comunale c’ un gran viavai di giornalisti e curiosi, Gaetano Curreri si è assunto l’onere di padrone di casa, sorride e rilascia interviste e strette di mano. 

Quattro marzo duemiletredici. Un anno che non c’è più, che se n’è andato senza preavviso. Avrebbe compiuto settant’anni nella sua Bologna, Lucio Dalla. Sarebbe stato su quel palco, ridendosela sotto i baffi, con lo sguardo un po’ sbilenco di chi è come le rondini della sua omonima canzone, a guardare dall’alto la vita, dai tetti o in volo discreto sotto i suoi portici. Uno sguardo di disarmante umanità. E chissà quanto avrebbe riso a sentire le voci della piazza: “pare ci sia un problema con la diretta Rai, sono in ritardo…Forse un’edizione straordinaria del tg? Un colpo di stato?”. D’altra parte i tempi sono quelli che sono.

Non reggono le polemiche della vigilia di fronte a una piazza dove spostarsi è un’impresa titanica, dove si respira solo un’allegria discreta, che si mescola a una malinconia palpabile, ed è l’unico animo che ci si sente di avere addosso. Non reggono le polemiche della serata, con le lamentele di quelli che sono addossati alle transenne dalle otto della mattina e si trovano di fronte la selva di giornalisti e ospiti nel front stage. “Raccomandàti!” intonano in coro. Un signore arrivato dalla Calabria assieme alla figlia, una giovane con il volto di Mariel Hemingway che chiede con spiccato accento romanesco dove siano le telecamere; la signora pugliese che ha finto malattia col datore di lavoro per esserci e le telecamere invece le schiva accuratamente: ciascuno ha la propria testimonianza, il proprio legame unico e speciale con Lucio, racchiuso nelle note di una canzone.

“Non è giusto che voi stiate lì e ci copriate la visuale. E’ da stamattina che siamo qui” gridano dalla prima fila. “Anche se poi” si ammorbidisce sorridendo una ragazza “quando inizierà il concerto non ci ricorderemo più di nulla”. Non reggono, le polemiche, quando si accende il maxischermo dietro al palco e un giovane Mike Bongiorno in bianco e nero dal palco di Sanremo 1972 annuncia che “l’uomo dal berretto d’oro” sta per cantare Piazza Grande. Entra Morandi, senza sorridere, anche se c’è la tv, perchè non sempre lo show deve andare avanti. Qui, in questa città, in questa piazza, a dettare il tempo è solo l’emozione, e al diavolo i convenevoli da padroni di casa. E quando duettano, Dalla e Morandi, sulle note di  Vita ci si può permettere anche di trattenere il respiro. Sfilano sul palco gli amici di sempre. Sugli schermi, sui muri di Palazzo D’Accursio e Palazzo dei Notai scorrono immagini di repertorio: Dalla che duetta con Fo in un balletto di parole di uno stralunato  pseudo dialetto, Dalla che con una testa di cavallo addosso intona con passione ed enfasi partenopea Malafemmina, Dalla a Sanremo quando ci portò 4 marzo 1943 e la sua vita cambiò.

Arriva Bocelli e scatta la gaffe di Morandi (“ecco, ti faccio vedere il filmato”) ma non si ha cuore di farglielo notare. Si affaccia Marco Alemanno a leggere un brano da una finestra dei magnifici palazzi medievali della piazza, e si tace di fronte a un momento che riesce a restare intimo anche di fronte a una piazza da 50mila persone.

La piazza canta poco, quasi temesse di sovrapporsi, poco rispettosamente, alla voce di Lucio. Tranne sul finale, quando Morandi imbraccia la chitarra e saluta con Piazza Grande la piazza immensa, che non può esimersi dall’accompagnarlo, che vince il pudore e saluta il suo cantautore più amato, il giullare autoironico e geniale, che fa l’occhiolino, lo immaginiamo, da sotto al suo berretto e dagli occhiali. Ovunque si trovi ora, di sicuro è qui.

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