“Non ho mai cambiato versione, ho sempre detto che la ragazza andava affidata a una comunità”. E’ una testimonianza precisa e circostanziata, quella del pubblico ministero del Tribunale dei minori Anna Maria Fiorillo, che la notte del 27 maggio 2010 fu chiamata più volte dagli agenti della questura di Milano dopo il fermo di Karima El Marough, in arte Ruby. Nella ricostruzione della Fiorillo c’è l’insistenza del commissario della questura Giorgia Iafrate (“un fiume di parole che sembrava un monologo”), ma soprattutto l’incredulità della stessa teste di fronte alla richiesta di affidamento della minore a una sedicente “consigliera ministeriale” (Nicole Minetti), perché la giovane pareva essere la nipote del presidente egiziano Mubarak. “Semmai del Re del Marocco”, ribatté la Fiorillo quella sera al commissario di polizia Iafrate, visto che la ragazza era stata inizialmente identificata come marocchina. Si procedette comunque all’affidamento, nonostante il parere contrario del giudice dei minori, che oggi in aula ha ricordato essere sotto procedimento disciplinare del Csm per essersi dissociata dalle dichiarazioni dell’allora ministro Roberto Maroni in Parlamento. “Quando disse che la minore Ruby era stata 
affidata dalla Polizia alla Minetti secondo le indicazioni del 
magistrato disse una cosa che attaccava la mia onorabilità di magistrato”, spiega la Fiorillo rispondendo all’avvocato di Berlusconi Nicolò Ghedini, “perché nessun magistrato degno di questo nome 
avrebbe potuto fare una cosa del genere” di Franz Baraggino

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