Spesso mi è capitato di scappare dal mondo delle ultime novità in libreria e rifugiarmi nei mercatini dell’usato dove si trovano autentiche perle, da Richard Mason a William Riley Burnett, da Frédéric Dard al Graham Greene de “I commedianti”, uno dei romanzi, a mio avviso, più importanti del Novecento, inspiegabilmente più ristampato in Italia da almeno vent’anni.

Nelle librerie dell’usato spesso si trovano testi capaci di far sognare, cosa che sarebbe fattibile anche nelle librerie degli ultimi arrivi (parlo delle grosse catene e dei grossi store, non delle piccole e validissime librerie indipendenti presenti in ogni città, fra le altre mi vengono in mente Golem e Trebisonda a Torino, Il mio libro a Milano, Modo Infoshop a Bologna, il Mercatino del libro e del fumetto a Ferrara, Fahrenheit e Griot a Roma), sarebbe fattibile se la vetrina, lo spazio maggiore, gli spot, le classifiche non fossero quasi sempre occupate da spazzatura vestita a festa. Basta guardare le classifiche dei grandi stregoni massmediatici per rendersi conto che, nonostante i validissimi libri in catalogo, i grossi gruppi editoriali e gli store che li appoggiano o rappresentano preferiscono dare spazio a una non-letteratura per quasi-analfabeti, una non-letteratura capace sì e no di far evadere il lettore, mai di compiere quello per cui la narrativa, soprattutto quella popolare, è nata: creare un processo di liberazione e di consapevolezza di chi legge. Senza questo processo la lettura di un libro può essere comparabile a un’ora di palestra, un gin tonic al bar, la visione di un film in 3D. La letteratura non può NON far pensare. Se un libraio vi dice “leggete questo libro, per non pensare”, evitate la sua libreria o consigliategli di cambiare mestiere.

Ma fra i tanti narratori contemporanei che mi riportano in quel mondo letterario fatto di esotismo, hard boiled, luoghi da malavita genuina, Milano in bianco e nero, penso ad Antonio Chiconi, probabilmente i suoi libri, usciti per un piccolo e coraggioso editore milanese, Momentum Edizioni, non li troverete negli store degli aeroporti o dei centri commerciali, ma sia il romanzo cubano “La mano del morto”, che quello di ambientazione partenopeo-indocinese, “Sole rosso”, riportano a una grande narrativa spy che ricorda tantissimo, pur con la sua originalità, quei libri della grande scuola che vanno da Burnett a Spillane, passando per l’Ellroy degli esordi con un tocco guascone del Pedro Juan Gutierrez della “Trilogia sporca dell’Avana”.

L’anno scorso Instar libri ha pubblicato il tascabile de “Les Italiens” di Enrico Pandiani, un romanzo che dopo più di quattro anni, quasi un pezzo di antiquariato per le tipologie librarie, continua a vendere e a piacere ai lettori. Le avventure del commissario Jean-Pierre Mordenti e della brigata criminale di Parigi, composta quasi esclusivamente da italo-francesi (almeno agli esordi della saga), richiamano, come per Chiconi, a quella narrativa che gli store dovrebbero valorizzare un po’ di più. Pandiani, torinese conoscitore di Parigi, tanto da scegliere la capitale francese come cornice ideale per ambientare tutta la serie de “Les Italiens”, ha l’innata capacità di tenere il lettore attaccato al libro fino all’ultima pagina. E lo fa con intelligenza. Adoro gli scrittori capaci di arrivare a tutti e di dire delle cose sensate.

E sempre in Francia, ma a Marsiglia (omaggio a Jean-Claude Izzo e forse anche al “Duri a Marsiglia” di Giancarlo Fusco) Massimo Carlotto ha ambientato il suo ultimo romanzo, uscito l’anno scorso per Einaudi, “Respiro corto”, storia veloce, senza fronzoli sulla nuova criminalità organizzata che vede la città mediterranea come epicentro di una resa dei conti dai risvolti imprevedibili. Per E/O Edizioni Carlotto cura, con la direzione di Colomba Rossi, la collezione Sabot/AGE, un progetto letterario assolutamente inedito nato per raccontare tutte le storie negate dalle verità della televisione. Romanzi e non inchieste travestite. Letteratura che possa far emergere argomenti scomodi. Numerosa e ben scelta la scuderia: Roberto Riccardi, Eduardo Savarese, Tersite Rossi, Piergiorgio Pulixi, Matteo Strukul, Carlo Mazza.

Cambiando longitudini, risalendo con un dito l’atlante fino alla fredda e lontana Islanda, troviamo Yrsa Sigurdardòttir. Il Saggiatore ha da poco pubblicato uno dei suoi otto romanzi per un pubblico adulto: “Mi ricordo di te”, un noir psicologico che va a braccetto con presenze paranormali e analisi più o meno velate sulla situazione sociale ed economica del paese dei geyser e dei vulcani. Il villaggio di Hesteyri nei mesi invernali è disabitato e quasi irraggiungibile. L’unico contatto con il resto dell’Islanda è un traghetto perennemente in balia del vento e del mare. In questo luogo desolato, tre giovani provenienti dalla capitale hanno deciso di ristrutturare una casa per trasformarla in un albergo. Il piccolo gruppo presto si rende conto che non solo la ristrutturazione è molto più difficile del previsto, ma anche che sul villaggio deserto aleggia un’atmosfera sinistra. I telefoni cellulari si scaricano senza motivo e una presenza indistinta sembra seguirli, lasciando tracce che suggeriscono un messaggio indecifrabile.

E facendo un ulteriore balzo in direzione Oriente, la casa editrice ObarraO, specializzata in letteratura, saggi, poesia del Sud Est Asiatico e Corea e scritti relativi al nuovo campo di pensiero in-Assenza, ha pubblicato, per la prima volta in Italia “I celebri casi del giudice Dee”, il romanzo cinese da cui Robert van Gulik trasse l’ispirazione per la sua serie di gialli ambientati nel Celeste Impero e per il personaggio dell’infallibile giudice Dee, realmente vissuto in epoca T’ang. Opera di un anonimo cinese del XVIII secolo, il testo appartiene al filone delle cronache dei casi dei magistrati distrettuali, una tradizione letteraria che si sviluppò in Cina molti anni prima che gli scrittori occidentali si cimentassero con il genere poliziesco. Funzionario e detective con l’incarico di condurre le indagini, il giudice Dee, da poco assegnato al distretto di Chang-ping, affronta tre casi all’apparenza senza soluzione: un doppio omicidio nell’ambiente dei mercanti della seta, l’apparizione di uno spettro che chiede giustizia e l’avvelenamento di una sposa durante la prima notte di nozze. Le sue raffinate capacità deduttive e il suo innato senso della giustizia avranno infine la meglio su inganni e superstizioni.

Cotonou, Benin, Africa occidentale. Dove la notte dura un secolo. A caccia dell’assassino di una squillo d’alto bordo e di una valigetta piena di polvere d’angelo ci sono, per scopi diversi, il commissario Santos e l’ispettore Kakanakou; Smaïn detto l’Arabo, un faccendiere arricchitosi chissà come; l’agente di sicurezza Sdk e due femme fatale puttane di professione. Si tratta de “Non sta al porco dire che l’ovile è sporco” di Florent Couao-Zotti, che da poco si è aggiudicato il Premio Ahmede Khourouma che premia opere letterarie dedicate all’ Africa Nera. Il romanzo, edito in Italia da 66thand2nd, ha la sua forza esilarante e pulp nello slittamento continuo della storia, che si dipana nel recinto di una Cotonou irrazionale, cortile di un’Africa contemporanea stanca di inghiottire gli scarti dell’Occidente.

E chiuderei in Africa. Nella Repubblica Democratica del Congo ho ambientato “Le bestie/Kinshasa Serenade”. Dato che sia io che il mio editore ci sentiamo un po’ controcorrente, se siete interessati potete scaricarlo gratuitamente qui: “Le bestie/Kinshasa Serenade”.

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