E’ l’intervento più deciso dell’amministrazione Obama a favore dei matrimoni gay. In un documento presentato alla Corte Suprema, che il prossimo 26 marzo discuterà il caso, l’amministrazione afferma che la “Proposition 8”, il bando ai matrimoni omosessuali votato dai cittadini della California nel 2008, “non è stato sottoposto a un esame legale minuzioso” e viola l’obbligo all’eguale protezione garantito dalla Costituzione. Nel maggio 2012, Obama aveva spiegato di aver compiuto un lungo e sofferto percorso sul tema dei diritti gay e che, dopo averne discusso con familiari, amici, personale della Casa Bianca, dopo aver ascoltato le richieste che venivano da tanti soldati USA, si dichiarava “personalmente a favore” dei matrimoni omosessuali. La dichiarazione, sia pure in qualche modo resa necessaria da un pronunciamento simile del vicepresidente Joe Biden, aveva fatto scalpore. Era la prima volta nella storia che un presidente americano prendeva così apertamente posizione in tema di diritti omosessuali.

In quell’occasione, comunque, si trattava di una presa di posizione “personale”, privata. Nel caso del documento presentato alla Corte Suprema, in linguaggio legale “amicus brief”, si tratta invece di una chiara e inequivocabile scelta politica e legislativa. L’amministrazione Obama nega infatti validità alla tesi dei sostenitori della “Proposition 8”, secondo cui i cittadini omosessuali della California non avrebbero bisogno dei matrimonio gay, avendo già a disposizione le “domestic partnerships”, simili alle unioni civili. A giudizio dell’amministrazione USA, “la designazione di matrimonio conferisce una speciale autenticazione alla relazione tra due persone e racchiude un messaggio alla società che le ‘domestic partnership’ non possono eguagliare”.

Il matrimonio, secondo Obama, è dunque l’unico istituto in grado di dare agli omosessuali pari diritti. Le “domestic partnerships”, qualsiasi forma di unione civile, per gli omosessuali, sono ancora una forma di discriminazione. L’affermazione, che nello specifico riguarda soltanto il caso in discussione, quello della California, è destinata ad avere ampie ripercussioni su tutto il territorio nazionale. Nel caso la Corte desse infatti ragione a chi sostiene che i matrimoni omosessuali rappresentano l’unica vera forma di tutela costituzionale, finirebbero nel mirino tutti quegli Stati USA che riconoscono forme diverse di unioni civili: Delaware, Hawaii, Illinois, Nevada, New Jersey, Oregon e Rhode Island.

La parola a questo punto passa dunque ai nove giudici della Corte, che paiono spaccati secondo gli opposti orientamenti ideologici. I quattro conservatori contrari, i quattro liberal a favore. Resta lo “swing vote” del giudice più centrista, Anthony Kennedy, che però in un parere legale del 2001 affermò che “il pregiudizio non può essere la base per un differente trattamento da parte della legge”. Quell’affermazione di 12 anni fa spinge ora a sperare molti sostenitori dei diritti gay.

La presa di posizione dell’amministrazione Obama arriva nel momento in cui altri settori della politica americana dimostrano una significativa evoluzione sul tema. In un altro “amicus brief” sottoposto alla Corte in merito al caso della “Proposition 8” in California, un centinaio di politici e funzionari repubblicani prendono decisamente posizione a favore dei matrimoni tra omosessuali. Tra questi ci sono Mary Cheney, la figlia dell’ex-vicepresidente Dick Cheney, gli ex-candidati alla presidenza Jon Huntsman e Meg Whitman, l’ex-governatrice del New Jersey e segretario all’ambiente Christine Todd Whitman e lo stratega e consulente di Mitt Romney, Ben Ginsberg. Tra i repubblicani in vista che nei mesi e nelle settimane scorse hanno appoggiato le richieste omosessuali, ci sono anche anche Dick Cheney, Laura Bush e Clint Eastwood.

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