Non c’è gioia né tristezza, non c’è vittoria né sconfitta. Solo una calma angosciosa nelle strade di Roma. È la notte di Grillo. Il Tevere è gonfio, la luna velata, i sampietrini lucidi sotto i lampioni arancioni. È la notte delle elezioni, una delle più belle da assaporare per chiunque ami questa città, la politica e la vita. Non c’è nulla di più vitale di una notte in cui tutto cambia. Dovresti sentire vibrare il vento che al mattino spazzerà via nomi, volti e simboli, eppure l’aria è stagnante. Ne ho viste tante di notti delle elezioni negli ultimi venti anni: la vittoria di Rutelli nel 1993, la notte di Berlusconi del ‘94, quella dell’Ulivo nel 1996, il trionfo di Forza Italia nel 2001, la rivincita di Prodi e l’ultima vittoria del Pdl. Stavolta è diverso. Non c’è festa in strada.

Il pensiero va alla notte maledetta del 1994, quella che ha cambiato la storia della mia Italia. C’era l’atmosfera del derby. La squadra avversaria aveva vinto e noi avevamo perso anche se non mi sentivo parte né degli ex Dc di Mario Segni né degli ex Pci di Achille Occhetto. La scelta suicida di andare separati aveva regalato il paese nel quale avrei dovuto cercare lavoro e crescere i miei figli alla peggiore coalizione possibile. Non c’è dubbio: nel 1994 avevamo perso la partita decisiva eppure stanotte Roma fa più paura di allora. Nel 1994 i deejay lanciavano ‘Io penso positivo’ di Jovanotti aggiungendo che anche loro pensavano positivo sulla vittoria del patron della Fininvest, che ora poteva chiamarli a lavorare anche in Rai. Confindustria e Fiat, la Borsa e la Chiesa benedicevano il nuovo padrone. Tutti festeggiavano e io capivo di non avere capito il mio paese. Quei clacson festanti in via del Corso erano sale sulle ferite, eppure ti facevano sentire vivo. Se stanotte ripenso al 1994, al frastuono delle macchine, alle bandiere di Forza Italia che sventolavano dai finestrini, alle facce volgari degli ultrà del Cavaliere, provo nostalgia.

Allora vedevo solo il segno della sconfitta della parte migliore del paese. Oggi mi rendo conto che erano le grida di un paese magari incorreggibile e un po’ cialtrone, ma vivo. C’era festa anche nei brindisi degli ex comunisti che andavano al governo con Prodi nel 1996 e poi nella rivincita rabbiosa del 2001 di Forza Italia. Nella notte delle elezioni del 2006 c’era il pathos del testa a testa mentre nel 2008, si cominciava a sentire che la festa era finita, nonostante il trionfo del Pdl. Era il primo segnale di un paese che andava spegnendosi e che si consegnava a Berlusconi come in una resa.

Stanotte però dovrebbe essere tutto diverso. È la notte del trionfo delle Cinque Stelle eppure il cielo è più buio di allora. Come nel 1994, c’è un movimento nuovo che passa da zero al 25 per cento. Un uomo forgia dal nulla il primo partito d’Italia e stavolta riesce nell’impresa senza tre tv e miliardi di lire. Eppure non c’è un grillino in strada. È la prima vittoria storica della politica italiana senza uno straccio di festa. A Roma sembra di rivivere una notte delle due guerre all’Iraq, quando tutti restavano intorno al focolare televisivo a caccia di notizie e rassicurazioni. Non c’è una bandiera a colorare questo trionfo buio.

Tra via Poli e la Galleria Alberto Sordi incroci i deputati finiani e dipietristi: il volto della sconfitta. 

In via del Nazareno ci sono i mancati vincitori del Pd. A via dell’Umiltà si offrono alle tv i mancati perdenti del Pdl. Mancano solo i vincitori. Dove sono finiti gli uomini e le donne di Piazza San Giovanni? Dove sono i milioni di italiani che dovrebbero gridare la gioia di avere ripreso nelle mani il loro destino? Dove sono i militanti 5 stelle? Perché non scendono in piazza a gridare “Vaffanculo” ai palazzi? Sarebbe consolante immaginarli come tanti nerd davanti al computer a festeggiare nei blog, preferendo postare un tweet invece di gridare in piazza la loro gioia. Sarebbe persino più rassicurante pensare che aspettano solo un cenno dal loro capo carismatico per scendere in piazza.

Ma forse la risposta giusta è nelle immagini di Sky: davanti alla casa di Grillo a Genova non ci sono ragazzi festanti, ma imprenditori e padri di famiglia inseguiti dalla crisi e dalla disoccupazione. Forse la verità è che l’Italia del 2013 non è l’Italia del 1994. Venti anni di berlusconismo hanno lasciato un paese stremato e impaurito. E ci vuole più forza per festeggiare che per protestare.

Il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2013

Articolo Precedente

Elezioni 2013, il ritorno bipartisan degli impresentabili

next
Articolo Successivo

M5S: l’eterno conflitto fra politica come professione e politica come servizio

next