Non c’è niente da fare: a Di Paola non va proprio giù l’idea che qualcuno possa ridurre il numero degli F-35 o chiudere il programma missilistico MEADS. Fino all’ultimo il ministro-ammiraglio non molla. Così ieri, a Bruxelles, ha dettato la linea per il futuro governo: l’Italia non intende affatto fare altri tagli al numero dei costosissimi caccia della Lockheed, quelli fatti sono sufficienti

Alla fine di gennaio, il giorno dopo che Bersani disse “la priorità è il lavoro, non gli F-35”, il ministro fece un altro intervento a gamba tesa in campagna elettorale convocando in quattro e quattr’otto una visita guidata a Cameri per i giornalisti italiani. Visita che confermò, suo malgrado, come il mega cacciabombardiere non porterà affatto lavoro e benefici all’industria italiana.

Tre settimane fa, il 29 gennaio, il Di Paola ha scritto a Leon Panetta, segretario alla Difesa di Washington, minacciando fuoco e fiamme se gli americani non avessero rispettato gli impegni per lo sviluppo del sistema missilistico MEADS, un programma per il quale sono già stati spesi 4 miliardi di dollari (prego leggere bene: quattro miliardi di dollari), e in ritardo di dieci anni rispetto alla tabella di marcia. Per una fortuita coincidenza, il capofila industriale del MEADS è ancora la Lockheed. Dopo l’annuncio che l’Esercito statunitense non avrebbe comunque comprato il missile, il Congresso ha infatti tagliato tutti i fondi per completare la fase di ricerca e sviluppo. Troppi soldi spesi, troppi ancora da spendere. Ma Di Paola non ci pensa proprio: vogliamo spendere ancora e ancora e ancora

Naturalmente l’attivismo da piazzista dell’ammiraglio (honni soit qui mal y pense) non c’entra con le voci che lo vogliono futuro presidente di Finmeccanica. Ma un obiettivo ce l’ha di sicuro: condizionare sul piano internazionale il prossimo governo. Firmare lettere dirette a governi alleati, fare dichiarazioni durante riunioni con gli alleati hanno l’effetto di creare dei precedenti ai quali potrebbe essere difficile sottrarsi. 

Per cui forse varrà la pena di stilare un piccolo promemoria per la futura maggioranza che spero sia espressa dallo schieramento di Bersani, Vendola e alleati, l’unico a mio parere che possa garantire la legalità repubblicana e un processo profondo di riforme:

a) l’Italia spende oltre 23 miliardi l’anno per le forze armate (senza contare i Carabinieri), circa l’1,4 per cento del prodotto interno lordo, ben di più della barzelletta dello 0,9% che ci viene raccontata da vent’anni. Una seria revisione della nostra politica militare ci permetterebbe di ridurre la spesa di almeno 2 miliardi l’anno senza compromettere la nostra capacità di difesa. Ma per farlo bisogna seguire un metodo esattamente contrario a quello imposto da Di Paola al Parlamento: prima definire gli obiettivi (l’ammiraglio-ministro aveva detto non serve, è la NATO che decide cosa dobbiamo fare), poi fare la ricognizione dei programmi di armamento tagliando quelli inutili o insostenibili economicamente, poi razionalizzare la spesa improduttiva (e ce n’è, ce n’è tanta); 

b) cassare quei programmi fuori scala dal punto di vista economico-finanziario o delle nostre necessità di difesa. Sugli F-35 si è già detto troppo, sul MEADS non ci dovrebbero essere dubbi, ma non dimentichiamoci anche che l’Italia è oggi il Paese europeo con il più vasto programma satellitare militare in Europa, in parte mascherato con progetti duali civili-militari, le cui motivazioni strategiche non sono mai state chiarite; stiamo allestendo la flotta navale con le maggiori capacità di intervento oceanico mai avuta nella nostra storia e nei programmi della Marina ci sono navi da sbarco con potenzialità almeno triple rispetto a quelle attualmente in servizio: per fare che cosa? 

c) rivedere, ridurre, cancellare le cosiddette missioni di pace e di guerra, vedi Afghanistan (sempre ieri Di Paola ha detto che l’Italia starà a Kabul anche oltre il 2014: chi l’ha autorizzato?); siamo terzi al mondo per uomini impegnati nei diversi fronti caldi con una spesa che supera il miliardo e mezzo di euro l’anno. Stiamo costruendo una base militare a Gibuti, nel Corno d’Africa. Per fare cosa, forse per inseguire di nuovo il sogno del bel suol d’amor, dove la stella d’Italia ci addita un tesor?

c) razionalizzare l’industria della difesa, tagliare e riconvertire le inefficienze: oggi facciamo tutto, dai carri armati, ai missili, agli elicotteri, ai fucili. E per quello che non sappiamo fare da soli, preferiamo il buy American che lavorare nei programmi europei che sono forse più complessi ma non ci fanno perdere tecnologie e competenze trasformandoci in una colonia industriale stars and stripes

d) ridare senso e sostanza alle norme civilissime e modernissime della legge 180 sulle esportazioni di armi, col passare degli anni annacquate da tutti i governi e aggirate, soprattutto per quanto riguarda l’informazione e la trasparenza, con il contributo determinante, da ultimo, del GovernoMonti

e) cancellare privilegi anacronistici che nelle forze armate, come in altri settori della pubblica amministrazione, ancora resistono e cassare spese assurde come quelle volute da La Russa per far fare quindici giorni di caserma ai giovani italiani, forse in memoria dei Fasci giovanili da combattimento, e che costano allo Stato una ventina di milioni l’anno.

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