Fa campagna elettorale, ma dal posto di lavoro può assentarsi adducendo soltanto motivi personali. E’ la singolare situazione in cui si trova un candidato alle elezioni politiche. Il funzionario giudiziario del tribunale di Roma, Gregorio Esposito, candidato alla Camera con Futuro e Libertà nella circoscrizione Lazio 1 (in quindicesima posizione) il 22 gennaio, dopo aver formalizzato la sua “scesa in campo”, ha informato immediatamente il suo datore di lavoro, cioè il ministero della Giustizia, chiedendo di poter essere dispensato dal lavoro per dedicarsi alla propaganda politica: un’aspettativa non retribuita “per impegni legati esclusivamente alla campagna elettorale”.

Ma la risposta pervenuta da via Arenula dopo oltre una settimana – dunque a campagna elettorale già avviata – è stata che la richiesta dell’impiegato non poteva essere accettata. E nella stessa comunicazione il ministero invita l’aspirante deputato a formulare una nuova istanza, ma per chiedere “un periodo di aspettativa per esigenze personali o di famiglia”.

Insomma in presenza di una sorta di vuoto normativo “il dicastero della Giustizia invita un suo dipendente a mentire – denuncia l’onorevole Claudio Barbaro (Fli) – Il ministro Severino ne è a conoscenza?”. Secondo l’articolo del contratto nazionale sollecitato dal ministero prevede che il dipendente faccia una richiesta “formale e motivata”. “Grazie a Dio però io non ho alcun motivo personale né problemi di famiglia che legittimerebbero questa richiesta – sottolinea Esposito, contattato da ilfattoquotidiano.it – Ho chiesto semplicemente di poter esercitare i miei diritti politici”, che però il ministero della Giustizia non sembrerebbe riconoscere ai suoi dipendenti. O meglio non a tutti, visto che dell’aspettativa per motivi elettorali possono beneficiare i magistrati e gli agenti di polizia penitenziaria, i quali durante tutto il periodo della campagna elettorale continuano a percepire pure lo stesso trattamento economico di prima che scendessero in campo. 

Il primo che viene in mente è Antonio Ingroia. Viene da chiedersi, come fa l’onorevole Barbaro, “se per il ministero della Giustizia la partecipazione politica di un funzionario giudiziario valga meno di quella di un magistrato. O se l’impegno in campagna elettorale è qualcosa da nascondere, qualcosa per cui va anche bene dire una bugia apparentemente innocente”. Perché insomma alla fine cambia poco, viene da pensare: o in un modo o nell’altro, il permesso viene accordato. E invece no. Perché oltreché essere “motivata”, la (finta) richiesta di aspettativa per motivi personali “può essere concessa – come recita il contratto nazionale – compatibilmente con le esigenze organizzative o di servizio”. “Dunque – fa notare Esposito – è subordinato al parere del mio dirigente (del Tribunale, ndr)”.

In poche parole, visto che di funzionari giudiziari ce ne sono pochi, il dirigente avrebbe potuto anche esprimere un parere negativo. Questo non è accaduto, perché dal ministero lo scorso 5 febbraio hanno fatto sapere che l’aspettativa (ma per motivi personali) è stata accordata, chiedendo quindi al dipendente di quanti giorni avesse bisogno. Allorché, con una buona dose di cocciutaggine, “ho ribadito che richiedevo un’aspettativa per campagna elettorale – ricorda Esposito – e che c’è un’ordinanza ministeriale in cui viene precisato che la campagna elettorale dura trenta giorni. Quindi non posso indicare io quanti giorni mi occorrono”. Ciononostante, ignorando quindi la volontà del proprio dipendente, il ministero della Giustizia la scorsa settimana ha comunicato al funzionario giudiziario, candidato alle imminenti elezioni, la concessione di un periodo di aspettativa non retribuita per motivi personali. Ma non avendolo mai richiesta, Esposito ha risposto che non se ne avvarrà.

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