La marcia su Roma 2.0 degli attivisti 5 stelle pare inarrestabile. Appuntamento venerdì sera, ore 21. Piazza San Giovanni. Prevista pioggia, sicuri i parallelismi con il fascismo.

Giocando con gli spauracchi, Beppe Grillo ha sottolineato le similitudini apparenti. Arriverà a Roma da Viterbo in treno, per saggiare i disservizi della linea ferroviaria. Attenzione ai pendolari o demagogia? Con Grillo i pareri sono sempre più radicalizzati. O adepti o detrattori. Questi ultimi rilanceranno il paragone con Benito Mussolini. Anche il Duce arrivò a Roma in treno. “La battaglia incruenta” era già finita. Un quadrumvirato – Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi – diresse le colonne fasciste dall’Hotel Brufani di Perugia. Era il 28 ottobre 1922. Mussolini partì la sera successiva da Milano, con il direttissimo numero 17 delle 20.30. Viaggiò in vagone letto. Il convoglio arrivò nella tarda mattinata del 30, interrotto da orde di fascisti festanti. Giunto a destinazione, il Duce incassò dal Re Vittorio Emanuele III l’incarico per governare. Grillo si accontenterà di radunare una folla di cittadini. Il luogo è (era) quello sacro alla sinistra. Un tempo c’erano i girotondini, oggi l’hashtag #saraunpiacereday.

Paragonare il Movimento 5 Stelle al fascismo è un’assurdità tanto colpevole quanto commovente. Come dire che Bruce Springsteen è uguale a Gigi D’Alessio perché entrambi riempiono gli stadi. Il pacifismo è fascista? E l’ambientalismo? E l’istruzione al primo posto? Eccetera. Eppure “Grillo è fascista” (e pure “comunista vicino ai bloc bot”: Berlusconi dixit). Lo ha ripetuto Giuliano Ferrara domenica a In onda su La7 (fascista e “coglione” come chi lo vota). Lo sostiene Guido Crosetto, che ci rivede Goebbels. Ieri mattina, su RaiUno, il montiano bocconiano Piercamillo Falasca ha sostenuto che tra M5S e Alba Dorata non c’è differenza, poiché il grillismo ricalca il “sansepolcrismo” (il fascismo dei primi anni). Eugenio Scalfari, che su Grillo ha quantomeno sempre avuto la coerenza di mostrarsi drammaticamente miope, scriveva già il 12 settembre: “Ci vedo dietro l’ombra del “law & order” nei suoi aspetti più ripugnanti; ci vedo dietro la dittatura”. Le vedove inconsolabili della quasi-sinistra, negli anni, hanno sposato tale tesi (e Grillo, ciclicamente, gli ha fornito assist). Casa Pound, epurazioni, sindacati da chiudere, negazione del contraddittorio (“Grillo non ha mai risposto ad una domanda in vita sua e ci porterebbe fuori dalle democrazie”, così ieri Bersani a Pomeriggio 5). Persino quando ha attraversato – da cazzaro allenato – lo stretto di Messina a nuoto, è stato paragonato a Mao. E’ nata pure una nuova branca del giornalismo, quella del “necrofilo grillista”, impegnato ogni giorno a dimostrare che Casaleggio mangia i bambini e Grillo nasconde la copia del Mein Kampf nella sua villa di Genova.

Basterebbe un’oncia scaduta di onestà intellettuale per riderci su. Pizzarotti ricorda Galeazzo Ciano come i Modà i Led Zeppelin, Cancelleri sta al Balilla come Gasparri a Newton. Grillo, prima nei Palazzetti e poi nei comizi-show, ha sempre esorcizzato le pulsioni peggiori della massa (istinto belluino, ragionare con la pancia, propensione manichea al “noi siamo buoni e voi il male”) ridendo di sé. L’autoironia gli permetteva di disinnescare la grevità non tanto formale (quella è parte del suo repertorio) quanto contenutistica. “Antifascista e socialista di famiglia”, come è stato costretto a specificare dopo l’harakiri su Casa Pound, Grillo dribblava i rigurgiti fascisti scandendo con gli occhi sgranati: “Italiani!”. Come a dire: “Guardate che sono il primo a scherzarci su”. Se conoscesse Giovanni Lindo Ferretti, ne dovrebbe citare qualche strofa: “Non fare di me un idolo mi brucerò/ se divento un megafono mi incepperò”.

Vivendo perennemente sopra le righe, tra urla e dileggio (“Berlusconi è il nano zompettante, Monti è Padre Merrin”), Grillo non può prescindere dalla leggerezza per proteggere le istanze benefiche che incarna e convoglia. Altrimenti, come ieri a Cremona, si ritrova costretto a calmare gli esagitati che – dopo una battutaccia – inveiscono contro cameramen incolpevoli. Il problema non sono le parolacce, ma permettere ad esse – alle esagerazioni, alle esasperazioni – di offuscare il resto. Il rischio è quello di innamorarsi della propria rabbia: il confine tra antitaliano lucido (benché incazzoso) e Web-Savonarola è labile.

Durante lo Tsunami Tour, Grillo continua a far ridere. E’ in forma. E prosegue fortunatamente nell’autoparodia, ad esempio quando si fa offendere all’unisono dalla folla (“Populista! Demagogo! Terrorista!”). Sembra, però, sempre più serio. Più rancoroso. Più vendicativo (“Comunque vada, sara’ un bagno di sangue. Per tutti”). Intimamente allarmato dal troppo consenso. E’ un peccato, anzitutto per lui: il colmo imperdonabile per un antifascista è non sembrarlo. 

Il Fatto Quotidiano, 19 Febbraio 2012

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