Bruciare rifiuti solidi urbani per alimentare i forni di cottura del clinker, cioè la componente principale del cemento. Questa la proposta avanzata ormai quasi un anno fa dal ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, ma sottoposta alle commissioni di Camera e Senato soltanto nell’ultimissima fase della legislatura. Con più precisione: sostituire parzialmente i combustibili fossili, di solito utilizzati nei cementifici, con il cosiddetto combustibile solido secondario (CSS), ricavato dalla frazione secca dei rifiuti con l’aggiunta di altre componenti. Insomma l’accordo proposto da Clini, tra ministero, l’Aitec (l’associazione italiana tecnico economica del cemento) e le regioni italiane in grave situazione di emergenza rifiuti, intende “risolvere il problema dei rifiuti, scippandoli – come tiene a sottolineare il ministro – al circuito della malavita organizzata e valorizzandoli energicamente”. Una soluzione che si rifà al principio di end of waste (cessazione della qualifica di rifiuto), previsto dall’art.6 della direttiva europea sui rifiuti del 2008.

Lo schema di decreto “concernente regolamento recante disciplina dell’utilizzo di CSS in cementifici” ha suscitato però le proteste di alcune associazioni ambientaliste, secondo cui il provvedimento di Clini rischierebbe di trasformare, “se non di fatto, poco ci manca”, i cementifici in inceneritori. Un’ipotesi d’altronde non così azzardata, visto che è lo stesso ministro – intervistato da ilfattoquotidiano.it – ad ammettere che “l’utilizzazione del combustibile secondario dei rifiuti nei cementifici riduce anche il fabbisogno degli inceneritori”. Insomma si può evitare di costruire nuovi impianti di incenerimento che, si sa, oltre ad essere costosi sono anche dannosi. E allora meglio far bruciare rifiuti ai cementifici. “Bruciare rifiuti non è mai meglio”, ricorda Agostino Di Ciaula, dell’Isde (associazione dei medici per l’ambiente). E nonostante l’utilizzo del CSS da parte dei cementifici comporti una riduzione di alcune emissioni di gas serra, gli svantaggi per l’ambiente sarebbero comunque enormi. Un cementificio, “impianto altamente inquinante con e senza l’uso dei rifiuti come combustibile – precisa Di Ciaula –, produce almeno il triplo di CO2 rispetto a un inceneritore classico”. Inoltre i limiti di emissioni di inquinanti per questi impianti sono maggiori rispetto a quelli degli inceneritori. Identici per ciò che riguarda i microinquinanti, come la diossina. Ma il decreto Clini “semplificherebbe l’iter per la combustione dei rifiuti nei cementifici”, prosegue Di Ciaula. E visto che “la quantità di diossine è proporzionale alla quantità di rifiuti bruciati”, i microinquinanti emessi dai cementifici potrebbero essere “maggiori rispetto a quelli degli inceneritori”. In più “bruciando copertoni – avvertiva alcuni anni fa l’ex ministro della Salute Fazio – il rischio diossina aumenta”. Già perché il CSS, come si legge sul sito di uno dei principali produttori, “è composto anche da materiali ad elevato potere calorifico, inclusi pneumatici fuori uso”.

Dopo il via libera della commissione ambiente del Senato, lo scorso 11 febbraio l’omonima commissione della Camera, valutata anche la “rilevanza delle conseguenze”, ha espresso parere contrario alla proposta di Clini. “Il provvedimento – sostiene l’onorevole Zamparutti, uno dei membri della commissione – provocherebbe gravi danni in termini ambientali”. La decisione dunque spetterà al nuovo Parlamento.

Riceviamo e pubblichiamo

Egregio Direttore,
lunedì 18 febbraio è apparso sul sito del Suo giornale, a firma di Gabriele Paglino, un articolo molto critico sullo schema di decreto presidenziale, promosso dal Ministro dell’Ambiente, volto a semplificare l’uso dei CSS nelle cementerie. A questo proposito, chiediamo di replicare alle numerose inesattezze e informazioni fuorvianti contenute nell’articolo.

Partirei dall’oggetto del contendere, i CSS (Combustibili Solidi Secondari). Forse è bene chiarire che non parliamo delle famose ‘ecoballe’, né tantomeno di rifiuti presi tali e quali dalle strade, ma di combustibili ottenuti da un trattamento industriale complesso, regolamentato da specifiche norme di legge. Si dà il caso che l’impiego dei CSS nelle cementerie è pratica largamente diffusa in tutto il mondo avanzato, con in testa l’Europa che l’ha persino dichiarata una delle migliori tecniche disponibili (BAT, Best Available Technique). Così in Olanda, Germania, Francia ed Austria, tanto per fare degli esempi, i CSS costituiscono rispettivamente il 98%, il 61%, il 45% e il 30% del combustibile utilizzato nei forni da cemento. Quelli citati sono peraltro tutti paesi dove la raccolta differenziata è a livelli molto più elevati che da noi (in Germania al 50%), il che dimostra come riciclo e recupero non siano in contraddizione.

Perché questi numeri non vengono mai citati? Perché non viene mai detto che in Italia siamo fermi all’8%, nonostante gli immensi problemi di gestione dei rifiuti che hanno i nostri Comuni? Evidentemente molti nel nostro Paese hanno interesse a continuare nel ricorso alle discariche, sprezzanti delle varie infrazioni che la UE ha comminato all’Italia in materia, o nella costruzione di nuovi inceneritori, incuranti delle inevitabili proteste della popolazione. Nel frattempo i nostri concorrenti europei utilizzano i rifiuti spediti a caro prezzo dal nostro Paese e li trasformano in CSS per impiegarli nei loro processi industriali.

Riguardo alle affermazioni del sig. Agostino di Ciaula dell’Isde, riportate nell’articolo, vorrei in primo luogo ricordare che la normativa comunitaria e nazionale da tempo impone limiti più stringenti sulle emissioni in cementeria quando si ricorre ai CSS in parziale sostituzione del combustibile tradizionale. Pertanto tale pratica porta automaticamente ad un abbattimento delle emissioni. Nello specifico, le emissioni di CO2 dei cementifici sono legate per il 60% al tipo di processo – e in questo caso sono incomprimibili – e per il 40% ai combustibili utilizzati. Se si raggiungesse l’obiettivo di sostituire la metà dei combustibili fossili con i CSS, secondo Nomisma Energia si eviterebbero 2 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno.

Venendo alle emissioni di diossine, queste sono ben al di sotto del limite di legge. La formazione delle diossine è infatti legata alla presenza di cloro e alle temperature di combustione: in cementeria, per questioni di processo, i gas di combustione permangono per più di 10 secondi a oltre 1.000 °C, ben al di sopra del minimo imposto dalla legge italiana in caso di co-incenerimento di rifiuti nei processi industriali (2 secondi a temperature superiori a 850 °C). Inoltre, l’ingresso nel forno di cloro – il principale elemento dal quale dipende la quantità di diossine generabile durante la combustione, e non i CSS in sé, come sostenuto dal di Ciaula – deve essere ridotto al minimo, sia per questioni di processo che per rispetto della qualità del prodotto finale, come imposto peraltro dalle norme tecniche.

In definitiva, il co-incenerimento dei CSS nelle cementerie non può che portare ad un abbattimento complessivo delle emissioni e, come dimostrato anche in studi governativi, non presenta alcun rischio per la salute dei lavoratori e dei cittadini.

Giuseppe Schlitzer
Consigliere Delegato AITEC – Associazione Italiana Tecnico Economica del Cemento 

La controreplica
La replica dell’Aitec è più che legittima, visto che bruciare rifiuti anziché petcoke per i cementifici sarebbe economicamente più vantaggioso: verrebbero addirittura pagati per infornare Css, oltre a risparmiare una certa somma per l’acquisto del combustibile tradizionale. L’articolo però non fa alcun riferimento alle eco balle: si parla di combustibile ricavato da rifiuti urbani.

 

Sul fatto che riciclo e combustione dei rifiuti (o recupero come preferisce chiamarlo l’Aitec) l’onorevole Elisabetta Zamparutti, uno dei membri della commissione ambiente – che ha dato parere negativo alla proposta di Clini – non pare essere così d’accordo. Per la deputata radicale infatti la combustione provocherebbe “in aree del Paese, come il Veneto, dove sono ubicati numerosi cementifici, gravi danni in termini ambientali e di peggioramento degli attuali livelli di raccolta differenziata”. Da non dimenticare inoltre che lo scorso maggio il Parlamento Europeo ha approvato la relazione dell’eurodeputato olandese Gerben-Jan Gerbrandy su “un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse”. Il testo chiede di “introdurre gradualmente un divieto generale dello smaltimento in discarica e di abolire progressivamente, entro la fine di questo decennio, l’incenerimento dei rifiuti riciclabili”. Sulle emissioni infine ci risulta che i limiti per i cementifici relativi al biossido di zolfo, all’ossido di azoto e alle polveri totali siano più alti rispetto a quelli degli inceneritori.
Gabriele Paglino 

 

 

 

Articolo Precedente

Sua maestà il cemento: Salerno come Barcellona

next
Articolo Successivo

Energia rinnovabile: naufraghi su un’isola deserta

next