Non è servito aspettare i risultati completi dello spoglio elettorale in Ecuador: il presidente uscente Rafael Correa, quando il conteggio era a poco meno del 40 per cento delle schede, ha proclamato la propria vittoria. Gli ecuadoriani gli hanno dato fiducia per la terza volta. Correa ha avuto il 57 per cento dei voti, distanziando di un abisso il suo più diretto rivale, Guillermo Lasso, fermo al 24 per cento. “Siamo qui per servirvi” ha detto Correa nel suo discorso della vittoria, affacciato al balcone del palazzo presidenziale del centro storico della capitale Quito, “Niente per noi, tutto per voi: il popolo che ha il diritto di essere libero”. Migliaia di persone lo hanno applaudito e anche Lasso ha parlato di “una vittoria che merita rispetto”.

Correa, 48 anni, è stato eletto per la prima nel 2007, ma con la nuova costituzione approvata l’anno successivo ha dovuto sottoporsi di nuovo al voto nel 2009, per cui questo è il terzo mandato dal punto di vista formale e non potrà candidarsi di nuovo al suo scadere. Il principale obiettivo della nuova presidenza che si inaugura oggi è, secondo quanto il presidente ha dichiarato alla stampa internazionale, la riduzione della povertà, che in Ecuador, stando ai dati dell’Onu, è già scesa dal 37 al 32 per cento della popolazione negli ultimi cinque anni. L’opposizione, che non è riuscita a trovare un candidato comune, lo accusa di voler accentrare ancora più potere nelle mani della presidenza e il secondo governo Correa è stato segnato dalle dure polemiche tra l’esecutivo e i media, specialmente quelli vicini all’opposizione, accusati di aver fomentato una rivolta della polizia nel 2010. Secondo l’elite ecuadoriana, vicina tradizionalmente ai partiti conservatori, il demerito principale del presidente della “rivoluzione civica” è di aver spaventato gli investitori internazionali, a causa dell’alleanza con Cuba e il Venezuela di Hugo Chavez. Correa, tuttavia, è stato spesso molto pragmatico nelle sue scelte internazionali, mantenendo sì l’Ecuador in sintonia con il Venezuela e l’ALBA, l’alleanza continentale promossa da Caracas, senza tuttavia essere del tutto assorbito nel cono d’ombra della vulcanica personalità di Chavez.

“Non è una vittoria solo per l’Ecuador – ha detto ancora Correa nel suo discorso – Ma per tutta la grande patria dell’America latina. Nessuno può fermare questa rivoluzione, le potenze coloniali non sono più al governo, ora ci siete voi”, ha aggiunto. Nonostante la sua popolarità, e scelte coraggiose come l’asilo politico dato al fondatore di Wikileaks Julian Assange, il merito principale di Correa è nell’aver dato stabilità a un paese di quasi 15 milioni di abitanti che dall’inizio degli anni 2000, dal levantamiento degli indigeni che deposero il presidente Jamil Mahuad, aveva avuto diversi anni di turbolenze politiche con un altro presidente, Lucio Gutierrez, cacciato a furor di popolo e molte proteste sociali guidate dalle organizzazioni indigene. Correa ha usato i suoi primi anni da presidente per investire nella salute, nell’istruzione e nelle infrastrutture del paese, non senza appoggiare alcuni progetti controversi come il corridoio terrestre da Manaus (Brasile) a Manta, porto ecuadoriano sul Pacifico, che gli hanno alienato il sostengo di settori dei movimenti indigeni ed ecologisti che lo avevano sostenuto all’inizio della sua carriera.

L’economista Alberto Acosta, un tempo suo amico fraterno e già co-fondatore del partito del presidente Alianza Pais, oggi è uno dei suoi più duri critici: “Non lo riconosco più, non è più la persona che conoscevo e che amavo come un fratello – ha detto alla Bbc – E’ diventato una specie di Re Sole del XXI secolo”. Lo stesso Acosta era candidato alla presidenza per la Union Plurinacional de Izquierda (Upi), una formazione di sinistra vicina ai movimenti sociali ecuadoriani. Su suo account Twitter, l’economista ha scritto di aspettarsi dal nuovo mandato quei cambiamenti strutturali attesi dal popolo ecuadoriano e finora arrivati con il contagocce. Acosta, che è stato ministro per le miniere nel primo governo Correa e poi presidente dell’assemblea costituente salvo poi rinunciare al mandato in polemica proprio con il presidente ed ex amico, ha raccolto le forze sociali che “da sinistra” criticano Correa proprio per aver tradito i principi della “rivoluzione civica” che lo ha portato al potere e ne denunciano la politica di progressivo accentramento delle decisioni. Un fattore che potrebbe rivelarsi determinante nei prossimi anni e soprattutto al momento della scelta di un possibile successore che non sia solo una personalità forte come quella del presidente, ma sia anche capace di proseguire sul cammino di rinnovamento istituzionale ed economico di cui il paese ha bisogno.

di Joseph Zarlingo

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