Sulla nostra piattaforma Change.org è stata lanciata dall’Uaar, “Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti” una petizione che richiede l’abolizione del Concordato tra Stato e Chiesa.

Sebbene credo sia difficile che questa petizione possa vincere sul breve periodo, la cosa mi ha fatto riflettere su questo retaggio ormai davvero obsoleto per il panorama odierno dei cittadini italiani, e sui costi enormi che esso comporta, pure per i cittadini atei, agnostici o di altre religioni.

I Patti Lateranensi con la Santa Sede furono sottoscritti nel 1929 da Benito Mussolini e sono ancora oggi citati nella Costituzione, all’articolo 7. I Patti Lateranensi constavano di due distinti documenti: il Trattato che riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede e fondava lo Stato della Città del Vaticano – con diversi allegati, fra cui la Convenzione Finanziaria; e il Concordato, che definiva le relazioni civili e religiose.

Il Governo italiano acconsentì a rendere le sue leggi sul matrimonio ed il divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica di Roma e a rendere il clero esente dal servizio militare. I Patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento di “sola religione dello Stato”; in particolare l’art. 29 del Concordato introdusse l’equiparazione, dal punto di vista tributario, degli enti ecclesiastici agli enti di beneficenza, e l’art. 20 rese le merci in transito verso la Santa Sede e i suoi uffici in territorio italiano esenti da dazi. Il concordato venne successivamente modificato dagli accordi del 1984, che da un lato eliminavano il carattere esclusivo della religione Cattolica e dall’altro aumentavano i privilegi di cui già godeva.

Alcuni di questi privilegi: l’insegnamento della cattolica dottrina nelle scuole della Repubblica (con docenti scelti dai vescovi ma pagati da tutti i contribuenti), il regime speciale per il matrimonio religioso, le esenzioni fiscali e doganali, l’obbligo dello Stato di garantire la sicurezza tra le mura del Vaticano.

Ma non è finita qui. La Chiesa Cattolica ha inoltre diritto di percepire ogni anno l’otto per mille, una parte del gettito Irpef. La Chiesa è esente da Ires, Irap, Iva e il Dpr 601/1973 esenta la Santa Sede dal pagamento di imposte sui redditi dei propri fabbricati. In particolare il “decreto liberalizzazioni” emanato il 24 gennaio 2012 ha esentato la Chiesa dall’Imu. Il Dpr 78/2005 tuttavia prevede che lo Stato si faccia carico di ogni onere finanziario e manutenzione dei beni culturali mobili ed immobili di interesse religioso di proprietà ecclesiastica.

Con la legge 62/2000 è stata istituita la cosiddetta parificazione scolastica, che di fatto consente di scavalcare il dettato costituzionale che vieta allo Stato di finanziare le scuole private. Cappellani nelle Forze Armate, nella Polizia di Stato, nelle carceri sono sempre a totale carico dello Stato, Tfr e pensione compresi. In base all’articolo 35 del DPR 128/1969 gli ospedali sono obbligati a dotarsi di un servizio di assistenza religiosa cattolica a proprio carico. Gli sforzi che i cittadini hanno dovuto compiere sul fronte pensionistico hanno lasciato illesi gli uomini di Dio: per il clero ed i ministri di culto infatti è stato istituito un apposito fondo pensionistico con legge 903/1973 che garantisce ai dipendenti del Vaticano e ai loro familiari, trattamenti assicurativi e pensionistici. Vi sono inoltre numerose agevolazioni tariffarie per affissioni e insegne a contenuto religioso, oltre al milione di euro versato alle “emittenti radiofoniche nazionali a carattere comunitario”.

Lo Stato di Città del Vaticano ha diritto, inoltre dal 1929, ad una “adeguata dotazione di acque in proprietà”. Nulla viene stabilito in merito agli oneri accessori e allo smaltimento delle acque reflue, e questo ha portato ad un contenzioso con l’Acea, che il governo italiano ha risolto nel 2004 erogando all’Acea la somma di 17,3 milioni di euro per il ripianamento dei debiti dal 1998 al 2003, al netto del contributo annuo di 1,1 milioni di euro versati dalla Santa Sede.

La petizione dunque, in tempi di “stop ai privilegi”, obbliga anche chi non la firmerà ad un necessario ripensamento di certi rapporti.

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