Per realizzare il suo progetto e sopravvivere i primi mesi ad Amsterdam, Stefano Cutello ha venduto macchina, moto e lasciato il suo appartamento per un container di venti metri quadri. Si è anche licenziato da eBay rinunciando a posto fisso e benefit aziendali. “Quando ho detto al mio capo che me ne andavo per lavorare alla mia startup mi ha risposto: “Non potrei sentire una ragione migliore per lasciarci”. In meno di tre settimane è volato nella capitale olandese dove vive da meno di un anno. Ha anche trascorso un mese a San Francisco “per sondare il terreno”.

“Ho 28 anni, ma faccio lo sviluppatore da quando ne avevo quattordici. Non l’ho mai considerato un lavoro. A diciotto anni e un giorno, appena la legge me l’ha consentito, ho aperto la mia prima attività come creatore di siti internet. Andavo porta a porta dalle aziende a chiedere se avevano bisogno della mia consulenza”. Siccome un pezzo di carta è sempre bene averlo, Stefano si iscrive anche all’università, facoltà di informatica, ma l’esperienza non dura molto. “Per me un giorno di lavoro era come tre mesi all’università, sentivo che era una perdita di tempo, che avrei potuto dare di più facendo altro”. Lasciata l’università inizia a lavorare per una piccola azienda italiana nel settore del gaming finchè nel 2009 arriva la chiamata da eBay. “Per entrare a lavorare con loro ho affrontato otto colloqui, tutti in inglese. Ho parlato con manager provenienti dalla Germania, dall’Inghilterra o dagli Stati Uniti. Già essere lì era per me una bella prova. Al quarto incontro mi sembrava di aver affrontato una specie di esame di maturità, ero stremato”.

Superato l’esame Stefano entra in eBay come consulente, ma dopo il primo mese ha già in mano il contratto da dipendente nel ruolo di project manager. I suoi colleghi sono per metà stranieri e nell’azienda americana impara non solo a coltivare le relazioni con l’estero, ma anche a lavorare a più livelli nella gestione del prodotto. Eppure dopo due anni Stefano torna a concentrarsi sui propri progetti, quelli nati chiacchierando con i colleghi, al termine di una giornata di lavoro, davanti a una birra. “L’idea mi è venuta un giorno che ero sul divano con mio padre e lui mi sfogliava il suo album con le foto di quando era ragazzo. Mi sono detto che io non avevo una cosa simile perché le mie foto erano sparpagliate sui social network e mi sono chiesto: ‘come farò a far vivere un’esperienza simile a mio figlio?”.

Così nasce Pastbook, l’applicazione per raccogliere foto e ricordi sparsi on line in un libro digitale o cartaceo. L’idea piace, ma non abbastanza da coinvolgere degli investitori italiani. “Sentivo che quello era il momento giusto per il mio progetto, ma dovevo svilupparlo in fretta e trovare i soldi per farlo. Il problema era che lavorando in eBay non avevo né tempo per lavorarci né energie per trovare investitori e compagni così da formare un team”. In una settimana Stefano contatta alcuni incubatori stranieri, rispondono da Amsterdam e New York. In meno di tre settimane si ritrova nella capitale olandese a lavorare con startupper di tutto il mondo. “Avevamo progetti diversi, ma problematiche identiche e ci aiutavamo a vicenda per riuscire ad entrare nell’ecosistema degli imprenditori. Ogni lunedì l’incubatore organizzava uno speed dating di dieci minuti con investitori internazionali ai quali in tre minuti potevamo presentare la nostra idea e cercare di instaurare una relazione che potesse permetterci di sviluppare il progetto”.

Oggi Pastbook è un’azienda con otto dipendenti di nazionalità diverse. La prima sede ad Amsterdam, la seconda, forse, tra qualche mese, a San Francisco. L’unica cosa che Stefano ha lasciato in Italia è l’appartamento alla periferia di Milano che spera di vendere al più presto. “La differenza tra il nostro paese e il resto del mondo è che da noi il fatto di dover trovare soluzioni alternative di sviluppo per fronteggiare la crisi è considerato un limite, all’estero è una strategia quotidiana”.

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