E’ un uomo anziano. Le sue condizioni di salute sono precarie. E’ detenuto in carcere dal 1982 e sottoposto da 14 anni al regime del 41 bis. Il suo nome o i suoi soprannomi “Don Raffaè” oppure “’O professor” rievocano un stagione di sangue e violenze, una delle più buie nella storia della criminalità organizzata del nostro paese.

Inventore e capo della Nco, la nuova camorra organizzata, che negli anni Ottanta e per la prima volta costrinse i mafiosi di Cosa Nostra a scendere a patti. Il padrino Cutolo diventa il centro di intrighi e trattative. I vertici dello Stato, i rappresentanti dei partiti di governo, i servizi segreti, gli emissari del Vaticano pendono dalle sue labbra. Il democristiano Ciro Cirillo, potente assessore regionale della Campania all’Urbanistica viene rapito dalle Br. Siamo nel 1981 nel post terremoto. Lo Stato libera l’assessore grazie a “Don Raffaè”. Così non fu con il rapimento di Aldo Moro. Le trattative tra Stato e mafie portano dentro di sé segreti inconfessabili. Ci si costruisce attorno verità di comodo o istituzionali basate su depistaggi e bugie di Stato. Un esempio? Le stragi dei giudici Falcone e Borsellino e in epoca lontana quella di Portella della Ginestra. Chiariamo: il boss Raffaele Cutolo deve marcire in cella. Non è vendetta. E’ giustizia sacrosanta per le tante vittime innocenti che il suo disegno criminale ha mietuto. Ne vorrei citare solo una che vale per tutte: Marcello Torre, democristiano onesto, eletto sindaco di Pagani ad agosto e ucciso per ordine di Raffaele Cutolo l’11 dicembre del 1980.

In mezzo il sisma del 23 novembre e il business della ricostruzione. Dispiace dirlo ma Torre andava ammazzato: serviva per educare tutti gli amministratori che un “terremoto” non significa sciagura ma affari e potere. L’omicidio Torre – dopo anni – non è stato ancora risolto: chi furono i mandanti politici ? E’ una domanda ridondante e ossessiva che percorre nelle diverse latitudini e longitudini la storia italiana. Raffaele Cutolo ha rappresentato il monopolio della violenza. Ma chi decideva? Chi stilava i progetti? Chi disegnava gli scenari del potere per il potere? E’ il dubbio che mi assilla: perché a distanza di tanti anni quando Cutolo biascica una mezza parola di troppo oppure si abbandona a un ricordo e impunemente lo confida si scatena la psicosi? Ci sono mondi che cominciano a fibrillare? Ci sono reazioni inaspettate? Quali segreti custodisce “’O professor” che ancora – a distanza di molti anni – potrebbero mettere nei guai politici, strutture dello Stato e zone grigie? L’ultimo episodio di cronaca mi ha fatto riflettere: “Don Raffaè” dal carcere di Chieti in un colloquio esorta una sua nipote a rivolgersi all’onorevole Luigi Cesaro, (ricandidato al Parlamento dal Pdl) perché adesso è potente e può risolvere i problemi. Un favore che l’uomo politico non può negargli perché da giovane era il suo avvocato e a volte gli faceva anche da autista. Insomma un potenziale ricattato. Un rappresentante delle istituzioni che teme i rigurgiti di un passato che non passa. Soprattutto lo stesso Ciro Cirillo oggi 93enne non accenna mai a fatti legati al nome del boss Cutolo. Risponde sempre di altro.

Solo una volta disse: “La mia assicurazione sulla vita sono quei quaranta fogli che ho lasciato nella cassaforte del mio notaio, prima o poi, torneranno utili”. La butto li. Sarebbe bello che Denise, unica erede dell’ex capo della camorra, nata sei anni fa, grazie all’inseminazione artificiale, avesse un padre da ricordare. Gli spiegherebbero: cara Denise tuo padre ha fatto tanto male, ha ucciso persone innocenti e con esse le vite dei loro familiari, ha gestito un potere intriso di sangue, ha commesso cose atroci. Però quando sei nata tu, lui ha capito cosa significava davvero la parola “vita” ed ha cominciato a collaborare con lo Stato. Le sue verità hanno contribuito a guarire le viscere malate del nostro paese. Denise chiedilo a tuo padre: “Aiutami a vivere in un paese che non ha paura delle verità”.

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